Nubi all’orizzonte per l’economia italiana che viaggia verso una ‘recessione tecnica’ e un 2019 in grigio, con una crescita stimata dello 0,6% contro l’1% programmato dal governo. La previsione della Banca d’Italia è che anche il quarto trimestre del 2018 si chiuderà con il segno meno dopo il calo dello 0,1% segnato dal prodotto nel terzo, prima contrazione dopo una serie di 14 trimestri positivi.
In particolare, un grafico pubblicato sul Bollettino economico di via Nazionale indica per gli ultimi tre mesi dell’anno scorso un calo di circa lo 0,1%, all’interno di una forchetta che va da 0 a -0,2%. Sulla base di queste valutazioni, nel complesso del 2018 la crescita del Pil sarebbe stata dell’1% sulla base dei dati annuali e dello 0,9% sulla base dei dati trimestrali destagionalizzati e tenendo conto degli effetti del calendario.
Perché Palazzo Koch vede nero
Sul 2019 la Banca d’Italia riduce dello 0,4 punti percentuali la sua precedente previsione. Alla revisione, spiega via Nazionale, concorrono: dati più sfavorevoli sull’attività economica osservati nell’ultima
parte del 2018, che hanno ridotto la crescita già acquisita per la media di quest’anno di 0,2 punti; il ridimensionamento dei piani di investimento delle imprese che risulta dagli ultimi sondaggi; le prospettive di rallentamento del commercio mondiale. Sono invece moderatamente positivi gli effetti sulla crescita dell’accordo raggiunto dal Governo con la Commissione europea: l’impatto favorevole della diminuzione dei tassi di interesse a lungo termine compensa ampiamente quello degli interventi correttivi apportati alla manovra.
Per quanto riguarda 2020 e 2021, le proiezioni centrali della crescita sono pari allo 0,9 e all’1,0 per cento, rispettivamente. Ma la dispersione della distribuzione di probabilità attorno a questi valori centrali, avverte Palazzo Koch, e’ particolarmente ampia. Peraltro, ammoniscono ancora i tecnici di Bankitalia, i rischi sulla crescita sono tutti al ribasso e, oltre che ai fattori globali, sono legati all’eventualità di un nuovo rialzo dei rendimenti sovrani, a un piu’ rapido deterioramento delle condizioni di finanziamento del settore privato e a un ulteriore rallentamento della propensione a investire delle imprese. Un più accentuato rientro delle tensioni sui rendimenti dei titoli di Stato potrebbe invece favorire ritmi di crescita piu’ elevati.
Cos’è la recessione tecnica
Si parla di “recessione tecnica” quando il Pil di un Paese cala per per due trimestri consecutivi su base congiunturale, ovvero rispetto al trimestre precedente. Il dato congiunturale del terzo trimestre del 2018, che inizialmente aveva registrato una variazione pari a zero. è infatti stato rivisto al ribasso, con una flessione pari allo 0,1%. Non si parla ancora di recessione economica perché il dato tendenziale (ovvero il raffronto con l’analogo trimestre dell’anno precedente) è ancora positivo. Quando, infine, il dato tendenziale presenta un calo superiore all’1% si parla di crisi economica.
Le caratteristiche di una recessione
La definizione di scuola di recessione è quella di una fase nella quale i livelli dell’attività produttiva sono inferiori a quelli che potrebbero essere raggiunti utilizzando in maniera completa ed efficiente tutti i fattori produttivi a disposizione. Durante una recessione la produttività cala, la disoccupazione aumenta e, di solito, i tassi di interesse scendono a causa del calo della domanda di credito da parte delle imprese, conseguenza del raffreddamento dell’attività economica.
La stagflazione, quando salgono anche i prezzi
Una recessione si accompagna di solito a un calo dell’inflazione, in quanto la minore domanda di beni e servizi fa scendere i prezzi. Può, però, anche avvenire il contrario: il calo del Pil può essere accompagnato a un aumento dell’inflazione. In questo caso si parla di stagflazione. Un esempio di stagflazione è la crisi petrolifera degli anni ’70, conseguenza dello shock petrolifero. Un drastico aumento dei prezzi delle materie prime ha infatti un impatto al rialzo sui prezzi di molti beni di consumo e, allo stesso tempo, un impatto negativo sull’economia.
Per uscire dalla precedente ci vollero anni
L’Italia era uscita dalla recessione nel primo trimestre del 2015, quando il Pil era cresciuto dello 0,3% congiunturale dopo una lunga fase di stagnazione iniziata (o meglio ricominciata: c’era stata una recessione anche dopo la crisi dei mutui del 2008) a metà 2011, poco prima che l’impennata dello spread, in mancanza di un salvagente da parte della Bce, portasse il Paese sull’orlo del default e inaugurasse un periodo di austerità che, a sua volta compresse a lungo la crescita. Su base tendenziale l’Italia presentava il segno meno da ben 13 trimestri.
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