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Jean-Claude Juncker – Giuseppe Conte (AFP)
Suona un nuovo allarme recessione per l’economia italiana. Dopo il taglio delle stime sul Pil della Banca d’Italia e la certificazione della recessione tecnica da parte dell’Istat, arriva la riduzione sulle previsioni di crescita da parte del Fondo Monetario Internazionale, della Commissione europea e, sul fronte interno, dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio. Nello Staff Report sull’Italia, l’Fmi ha confermato il taglio delle stime del Pil annunciando che la crescita sarà debole, sotto l’1%, anche nei prossimi anni e ha segnalato “un rischio globale proveniente dall’Italia”.
Nel rapporto, l’istituto di Washington, in linea con quanto affermato nell’aggiornamento al World Economic Outlook dello scorso 21 gennaio, prevede un Pil al +0,6% per quest’anno e al +0,9% per il 2020. In calo anche le stime per il 2018 all’1% dall’1,2%. La crescita dell’economia italiana sarà moderata anche negli anni a venire: +0,7% nel 2021 e +0,6% sia nel 2022 che nel 2023.
Le previsioni di Bruxelles
Notizie peggiori arrivano da Bruxelles: la Commissione europea anticipa “un taglio netto delle stime di crescita dell’Italia e un ridimensionamento delle previsioni sul Pil dell’Eurozona”. I dettagli saranno comunicati oggi dalla Commissione che renderà note le stime per il 2019 sulla crescita del Pil di Eurolandia e quelle sull’inflazione (non saranno invece forniti dati su debito e deficit).
Dall’Ue al momento non vengono fornite cifre, e palazzo Berlaymont non conferma le notizie di un taglio allo 0,2% del Pil italiano, ma secondo quanto emerge, la previsione per l’anno in corso sarà inferiore alla stima dello 0,6% indicata da Fmi e Banca d’Italia. A novembre scorso, nell’ultima previsione di autunno, l’esecutivo Ue aveva stimato una crescita del Pil italiano all’1,2%, un livello inferiore rispetto all’1,5% indicato all’epoca dal governo.
Poche settimane dopo, nella fase cruciale della negoziazione con il governo Conte sulla manovra, la Commissione aveva poi considerato realistico il dato fornito dall’esecutivo, secondo cui l’Italia sarebbe cresciuta dell’1% nel 2019. Ma la frenata globale e il dato dell’Istat di fine gennaio che ha certificato la recessione tecnica per l’Italia, porterà con ogni probabilità la Commissione a stimare un rallentamento per il nostro Paese decisamente più accentuato rispetto ai partner di Eurolandia.
Le previsioni dell’Upb
Definita invece la previsione dell’Upb per il quale il Pil quest’anno crescerà solo dello 0,4%, “frenato dall’eredità statistica negativa indotta dalla flessione del semestre scorso”. Nella Nota sulla congiuntura l’Ufficio parlamentare di bilancio sottolinea che “l’anno parte con l’handicap” e che “l’Italia è ancora fanalino di coda dell’area euro”.
“Il deterioramento della crescita economica, divenuta negativa in termini congiunturali nel secondo semestre – spiega l’Upb – implica un trascinamento statistico negativo (-0,2%) per l’anno in corso. Secondo i modelli di previsione di breve periodo l’attività risulterebbe ancora debole nel trimestre in corso, per il quale si stima una dinamica del Pil stagnante o debolmente negativa. La domanda aggregata riprenderebbe gradualmente vigore nei trimestri successivi, in misura più intensa a partire dall’estate, sostenuta dalle misure espansive previste nella manovra di bilancio”.
La crescita del Pil nel 2020 è stimata allo 0,8%, stima che non incorpora l’attivazione delle clausole Iva. Tornando all’analisi della situazione italiana del Fmi, l’Istituto di Washington ammonisce il governo sulla necessità di proseguire sulla strada delle riforme strutturali. Sulle due misure bandiera del governo gialloverde, reddito di cittadinanza e quota 100, i direttori esecutivi del Fondo promuovono con riserva la prima e bocciano la seconda.
“È necessario proteggere i poveri con un moderno programma di reddito minimo garantito” mentre bisogna evitare, “di cambiare le riforme pensionistiche precedenti”. Tuttavia il reddito prevede benefit “molto alti” in particolare “al Sud dove il costo della vita è più basso” e potrebbe rappresentare “un disincentivo al lavoro”.
I benefici sono molto alti, fissati al 100% della soglia di povertà relativa rispetto alle buone pratiche internazionali che si attestano al 40-70%. Per quanto riguarda quota 100, l’intervento “aumenta il numero di pensionati e i costi previdenziali, diminuendo la forza lavoro e la crescita potenziale. La spesa pensionistica italiana, la seconda più alta nella zona euro, ha sottratto risorse per gli investimenti pubblici e per una moderna rete di sicurezza per i poveri”, precisa Fmi concludendo che “sulla base delle esperienze in altri paesi è improbabile che l’ondata prevista di pensionamenti possa creare altrettanti posti di lavoro per i giovani”.
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