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Anche la locomotiva tedesca rallenta

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Per l’Italia un aumento del Pil pari all’1% nel 2019 viene considerata una stima ottimistica da diverse istituzioni economiche, il Fondo Monetario Internazionale in primis. Per la Germania, sarebbe la crescita più lenta dal 2013, nonché un drastico taglio rispetto alle precedente previsione dell’1,8%. Sono questi i numeri contenuti nel rapporto sulle tendenze economiche dell’anno passato (quando il Pil della prima economia europea aveva invece registrato un’espansione dell’1,5%, secondo i dati preliminari) presentato oggi dal ministro dell’Economia tedesco, Peter Altmeier. 

Lo spettro del ‘no deal’

Il ministro prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: “Si tratta del decimo incremento annuale di seguito, la maggiore fase di espansione dal 1966”, ha dichiarato. E i dati sul mercato del lavoro continuano a sorridere: il tasso di disoccupazione dovrebbe scendere al 4,9% dal 5,2% del 2018 e i salari reali potrebbero crescere del 4,8%.

Nondimeno, la parabola discendente è evidente: nel 2016 e nel 2017 il Pil era cresciuto del 2,2%. E c’è stata poi la doccia fredda del terzo trimestre del 2018, che ha visto il Pil subire una contrazione pari allo 0,2% rispetto al trimestre precedente. Una frenata dovuta per lo più a fattori esterni, ha spiegato il ministro. In primo luogo l’atteggiamento protezionistico degli Usa, che hanno nel mirino l’export teutonico, e le incertezze legate alla Brexit, che rischia sempre più di concludersi con un ‘no deal’, ovvero un’uscita disordinata del Regno Unito dalla Ue, con conseguenze economiche imprevedibili.

A tale proposito Altmaier, che è un esponente dei conservatori della Cdu, si è detto profondamente preoccupato dalle “considerevoli distorsioni di politica economica” che scaturirebbero da un divorzio senza accordo tra Londra e Bruxelles. “Nei prossimi giorni Berlino deve fare di tutto per evitare una Brexit sregolata”, è stato il suo monito. Che fare?

Il nodo della tassa sulla riunificazione

“Gli anni buoni possono continuare se ci comportiamo con saggezza e attenzione”, è la risposta di Altmeier, che ha menzionato i piani del nuovo governo Merkel per aumentare gli incentivi fiscali per le aziende innovative e i fondi per gli investimenti. Appare più difficile l’abolizione della sovrattassa sulla “solidarietà” chiesta dal ministro.

L’imposta era stata introdotta dopo la riunificazione della Germania per finanziare la ricostruzione nell’ex DDR e alla sua eliminazione, sia pur graduale, sono fortemente contrari gli alleati di governo della Spd. Il timore dei socialisti è probabilmente che un taglio dei fondi possa aumentare le già cospicue fortune di Afd nei land dell’Est (sebbene, va ricordato, le proposte economiche del partito nazionalista siano ultraliberiste).

“Le vacche grasse sono finite”

Per quanto l’Imk, istituto di ricerca legato ai sindacati, abbia parlato di “pessimismo controllato” a proposito delle parole di Altmeier, l’intervento del ministro dell’Economia dipinge un quadro comunque più roseo di quello dipinto lo scorso 6 gennaio, in un’intervista alla Bild am Sonntag, dal ministro delle Finanze, Olaf Scholz, il quale ha detto senza giri di parole che “le vacche grasse” sono finite. Cioè che il mondo si avvia verso un rallentamento che non consentirà a Berlino di raccogliere le ricche entrate fiscali alle quali ci si era abituati. 

Scholz, insomma, sposa la linea dura dell’austerità del suo predecessore Wolfgang Schaeuble. Per investimenti e tagli delle tasse non c’è spazio, cioè l’esatto contrario di quanto detto oggi da Altmaier. Una spaccatura all’interno della Cdu che vedrà comunque il ministro dell’Economia ricevere il sostegno dei partner europei, che da anni chiedono alla Germania di aumentare la spesa per gli investimenti e di ridurre il suo enorme surplus commerciale. 

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