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Bassa crescita e produttività ferma restano i problemi principali

Fmi taglia stime pil mondo, crescita Italia modesta

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Il problema numero uno dell’economia italiana resta la bassa crescita, che ha a che fare con una produttività sostanzialmente ferma da anni, a causa di una molteplicità di fattori ancora non rimossi, dal peso della burocrazia all’alto livello della pressione fiscale, dal permanere di un alto debito (pari al 135% del Pil) alle resistenze all’apertura al mercato di troppi settori ancora immuni dal vento benefico della concorrenza. Il rapporto del Fmi sull’Italia lo conferma.

Meno tasse e più investimenti
La domanda interna può e deve essere riattivata attraverso un mix di misure fiscali (il taglio del cuneo fiscale da luglio va nella giusta direzione) e di spinta alla realizzazione di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, ora declinati sotto la voce “sostenibilità”. Il 2019 si è chiuso con un incremento del Pil nei dintorni dello 0,2%. Secondo le previsioni del Governo, il 2020 dovrebbe portare allo 0,6% la crescita, ma lo stesso Fmi nel corso del recente Forum di Davos non si è spinto oltre lo 0,5%, mentre per il 2021 la stima si attesta attorno allo 0,7%. Nel 2018 l’economia italiana era cresciuta dello 0,8 per cento. Come si vede dalle cifre, l’onda lunga della grave crisi che ha colpito l’economia nazionale negli anni successivi all’esplodere della grande crisi del 2008 non si è ancora arrestata.

La ripresa resta lenta
Siamo usciti dalla recessione, ma la ripresa continua a essere lenta e fragile. Il quadro internazionale non incoraggia all’ottimismo. L’economia mondiale continua a rallentare. Tendenza emersa chiaramente già nel corso del 2019 per effetto di fattori concomitanti quali la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina, la Brexit e il rallentamento dell’economia tedesca, e che ora al volgere del nuovo anno evidenzia ulteriori elementi di incertezza. La Cina, ancor prima che scoppiasse l’epidemia del coronavirus, evidenziava una frenata del Pil, certo ancora a livelli attorno al 6%, ma comunque in contrazione rispetto agli anni precedenti. Ora gli analisti cominciano a interrogarsi sull’effetto (sia sul versante del commercio con l’estero che su quello dell’economia nazionale) del virus.

I possibili contraccolpi sull’export
Crescono i timori che dalla Cina possa innescarsi una nuova crisi a livello globale, timore che le Borse mondiali stanno chiaramente evidenziando in questi giorni. In un contesto internazionale dominato dall’incertezza, per l’Italia sono possibili contraccolpi sull’export, ma soprattutto come in tutti i periodi di incertezza finisce per prevalere la cautela da parte di famiglie e imprese. In sostanza, se il quadro internazionale non muterà nel corso dell’anno, pare improbabile che possa ingenerarsi l’auspicata inversione delle aspettative che come noto sono fondamentali in economia.

La spinta dalla “fase due”
Condannati allo zero virgola? Nel mondo globalizzato l’andamento dell’economia internazionale ha un peso determinante sui singoli paesi e tuttavia il margine di azione delle politiche economiche può contribuire ad attutire il colpo e a invertire il trend. È la mission del governo sul tracciato di quella che viene definita “fase due”, ora che pare dribblato senza scossoni l’appuntamento elettorale in Emilia Romagna. Certamente è da accogliere con assoluto favore il calo dello spread (per circa 20 punti percentuali) per effetto dell’esito del voto di domenica scorsa. Secondo i calcoli del ministero dell’Economia, si tratta di un risparmio di 420 milioni nel 2020 sul fronte della spesa per interessi.

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