Non è la prima volta che il ministro dell’Economia Giovanni Tria mette in discussione gli 80 euro, ovvero l’asso calato dall’ex premier Matteo Renzi nell’aprile del 2014, nei giorni della campagna elettorale in vista delle Europee, con un costo di circa 10 miliardi. Lo fece in un’intervista a Il Sole 24 Ore lo scorso agosto. E lo ha ribadito oggi, spiegando che «nell’ambito di una riforma fiscale gli 80 euro vengono riassorbiti». E aggiungendo che tecnicamente quella di Renzi «è stata una decisione sbagliata» dal momento che «risultano come spese» e non come un vero e proprio sconto fiscale.
Il credito, denominato “Bonus Irpef” è entrato in vigore a fine aprile 2014. Dal mese successivo i lavoratori dipendenti con un reddito tra gli otto e i 26mila euro l’anno (con un decalage fino a zero per i redditi che vanno da 24.000 a 26.000 euro) si sono ritrovati in busta paga 80 euro al mese, che moltiplicati per 12 mensilità fanno 960 euro. Restano esclusi gli incapienti. La misura è poi diventata strutturale con la legge di stabilità 2015. Tre anni dopo – a Palazzo Chigi siede Paolo Gentiloni – il governo ha deciso di ampliare la platea dei beneficiari del bonus: è stato alzato il tetto del reddito da 24mila a 24.600 euro, e da 26mila a 26.600 euro. Una soluzione quest’ultima che consente ai lavoratori statali di rientrare nella soglia.
Dalle dichiarazioni per l’anno d’imposta 2017, presentate dai contribuenti nel 2018, risultano 11,7milioni di soggetti beneficiari del bonus (+2,1% rispetto al 2016) per un ammontare di oltre 9,5 miliardi di euro (+1,9% rispetto al 2016). A livello territoriale il 50,3% del bonus Renzi è finito nelle buste paga dei lavoratori dipendenti del Nord Italia. Dai dati del Dipartimento delle Finanze risulta poi che ha beneficiato degli 80 euro il 54% dell’intera platea dei lavoratori dipendenti. Percentuale che ha raggiunto circa il 58%nelle Marche. Se poi si guarda alle classi di reddito complessivo, più di sette dipendenti su 10 beneficiari del bonus ha denunciato al Fisco redditi tra 12.000 e 26.000 euro.
Per circa 2,4 milioni di soggetti (20% di coloro che hanno diritto agli 80 euro) il bonus riconosciuto è stato superiore all’imposta netta dovuta nell’anno in esame. In sostanza per questi contribuenti circa 991 milioni di bonus si sono trasformati in un trasferimento monetario per la parte che ha superato l’imposta netta.
Uno dei principali limiti evidenziati negli anni di applicazione degli 80 euro è il cosiddetto meccanismo delle “porte girevoli”, ossia l’ingresso e l’uscita dei contribuenti dalla platea dei beneficiari. Dalle ultime dichiarazioni presentate (2018)emerge che circa 1,8 milioni di soggetti hanno dovuto restituire integralmente o parzialmente il bonus ricevuto per un importo di circa 494milioni di euro (di cui il 56%, pari a 992.000 soggetti, ha dichiarato una restituzione integrale per un ammontare di 385 milioni di euro). Di questi soggetti, spiegano sempre dal Mef, 1,2milioni hanno però ottenuto anche la restituzione di ritenute Irpef indebitamente versate, pari a 770milioni di euro .
© Riproduzione riservata