I 10 miliardi di copertura strutturale garantita negli anni scorsi per il bonus da 80 euro rappresentano una somma che il Governo vorrebbe utilizzare e riconvertire per ridurre la pressione fiscale su dipendenti e pensionati. Ma con ricette e interventi differenti tra Cinque stelle, Lega e il titolare del ministero dell’Economia Giovanni Tria. Ecco quali
di Marco Mobili
Caccia alle risorse per la manovra d’autunno
3′ di lettura
Il bonus degli 80 euro fa gola a tutti. I suoi 10 miliardi di copertura strutturale garantita negli anni scorsi dall’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, rappresentano una somma importante che l’attuale Governo legastellato vorrebbe utilizzare e riconvertire per ridurre la pressione fiscale su dipendenti e pensionati. Ma con ricette e interventi differenti tra Cinque stelle, Lega e il titolare del ministero dell’Economia Giovanni Tria. Di scritto non esiste ancora nulla. A circolare sono solo alcune simulazioni dei tecnici del Mef cui Tria già dallo scorso anno ha chiesto numeri e tabelle per rivedere al ribasso l’Irpef.
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Un punto è certo per i due azionisti di Governo: riconvertire gli 80 euro come sembra ipotizzare Tria – come ha confermato oggi il sottosegretario leghista Garavaglia, che ha detto di volerli trasformare in una «decontribuzione» – è una strada percorribile solo se la rimodulazione delle aliquote Irpef garantisce un vantaggio fiscale ed economico superiore ai 960 euro annuali oggi riconosciuti direttamente in busta a 11 milioni di contribuenti. Il che vorrebbe dire trovare risorse aggiuntive rispetto ai circa 10 miliardi di euro erogati ogni anno dallo Stato.
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La Lega in più di un’occasione ha dichiarato di voler trasformare gli 80 euro in una vera e propria detrazione e soprattutto di volerla far valere ai fini contributivi. Oggi i 960 euro percepiti in busta paga non entrano nel montante contributivo e dunque non hanno effetti positivi sulla futura pensione. Un’ipotesi, però, che, seppure apprezzabile negli intenti, per essere spendibile politicamente richiederebbe risorse aggiuntive. Infatti sarebbe impensabile scambiare un beneficio immediato con uno futuro. E quindi l’unica via è quella di immettere risorse ulteriori. Questa strada non sembra tuttavia percorribile atteso che si investirebbe un ingente quantitativo di miliardi (da circa 3,5 a 10) senza mettere in condizione il contribuente di percepirne immediatamente i benefici, atteso che della valenza ai fini pensionistici potrebbe accorgersene solo fra diversi anni. Ovviamente ciò non è compatibile con l’esigenza di “visibilità immediata” di cui ha oggi bisogno la politica.