La popolazione sparita in quattro anni è pari all’intera area metropolitana di Cagliari: dal 2015 (anno di inizio della flessione demografica) a oggi, si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti
di Nicoletta Cottone
Censis, lo tsunami demografico e il grande esodo dal Sud
3′ di lettura
Culle vuote, pochi giovani: l’Italia è un paese che invecchia sempre più. la fotografia scattata dal 53esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese descrive un Paese in forte declino demografico. Un paese con un ricambio generazionale in tilt e con notevoli problemi per la sostenibilità del sistema pubblico di welfare. Un’Italia che al 1° gennaio 2019 contava 60.359.546 residenti, con una perdita secca di 124.427 italiani in meno rispetto al 1° gennaio 2018. E la popolazione sparita in quattro anni è pari all’intera area metropolitana di Cagliari: dal 2015 – anno di inizio della flessione demografica – a oggi, si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti.
Le culle vuote del Belpaese
Le culle vuote del Belpaese sono il segno più tangibile di una capacità di crescita del Paese ormai persa. Nel 2018 il tasso di natalità è sceso a 7,3 per mille abitanti e ha segnato un nuovo minimo storico di nati iscritti all’anagrafe: 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Ed è indebolita anche la natalità degli stranieri: nel 2018 i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto al 2013 e il tasso di natalità è sceso a 12,6 (era 16,7), con una media di figli per donna straniera pari a 1,98 (era 2,10).
É finita l’era delle baby boomers
Finita l’era delle baby boomer, si sono ridotte le donne in età fertile (15-49 anni). E i numeri sono allarmanti: rispetto al 2003, nel 2018 nel nostro Paese ci sono quasi 1,2 milioni di 15-49enni in meno. Un vero e proprio crollo delle 15-49enni italiane, che segna addirittura un meno 2,1 milioni, compensato solo in parte dall’aumento delle donne straniere di pari età (+936.000). Ma rispetto al 2013 anche le donne straniere in età fertile stanno diminuendo: -8% per le 15-49enni italiane, -2,9% per le loro coetanee di altra nazionalità.
Cambiano le abitudini sociali
Incide anche il fatto che i figli si fanno più tardi: l’età media al parto è salita a 32 anni e per le coppie si riduce la possibilità per una coppia di andare oltre il primo figlio. Si combatte con percorsi di studio sempre più lunghi, ingresso nel mercato del lavoro ritardato, disoccupazione elevata e quando c’è, instabile. Difficile poi, per le giovani coppie, la conciliazione tra vita familiare e lavoro, soprattutto per la grande carenza di servizi per la prima infanzia. Problemi che hanno messo in crisi anche gli stranieri.
Fuga dei giovani in aumento
Cresce sempre più la fuga dei giovani all’estero. Nel 2017 su oltre 155mila cancellazioni di residenza per l’estero, 114.559 sono state quelle effettuate dai cittadini italiani, di cui più della metà (61.553, il 53,7%) hanno riguardato 18-39enni. «E se l’emigrazione verso l’estero dei cittadini italiani dal 2007 è aumentata del 215,6% – sottolinea il report – quella dei giovani è cresciuta a un ritmo ancora più sostenuto: +226,8%. In un decennio, oltre 400.000 18-39enni sono emigrati, a cui si sommano gli oltre 138.000 giovani con meno di 18 anni». Abbiamo però la generazione più istruita, competente e qualificata che l’Italia abbia mai avuto nella sua storia.
L’esodo dal Sud
I territori pagano il prezzo della perdita di capitale umano
I territori devono fare i conti da una parte con la perdita demografica e dall’altra con un depauperamento di capitale umano qualificato che fuggendo, depotenzia le opportunità di crescita. É il Sud il principale territorio di partenza: negli ultimi vent’anni più di un milione di persone dal Mezzogiorno si sono trasferite nel Centro-Nord. Pochi hanno fatto il percorso inverso. Molti giovani partono verso il Centro-Nord per motivi di studio, altri decidono di trasferirsi nelle regioni centrali e settentrionali per motivi di lavoro. Secondo Almalaurea al 2018, a cinque anni dalla laurea, il 18,9% degli studenti del Sud si è trasferito per motivi di studio e non è rientrato. E un 21,2% di giovani partono per motivi di lavoro dopo essersi laureati in un ateneo del Sud.