Comin&partners, Twitter
Carlo Calenda e Steve Bannon
Vince il fair play nel dibattito tra il leader sovranista ed ex consigliere di Trump, Steve Bannon, e l’ex ministro dello sviluppo economico e fervente europeista Carlo Calenda. Teatro del match, la sede romana di Comin&partners, società di comunicazione che occupa lo stesso stabile di Piazza Santi Apostoli che per anni ospitò i vertici del centrosinistra, quando Romano Prodi vi aveva insediato il quartier generale dell’Ulivo.
Confronti, quelli degli anni ’90 e dei primi anni Duemila, certamente più spigolosi e tesi di quello odierno, che al netto di qualche momento di fervore dialettico (peraltro smorzato dalla barriera linguistica) non ha visto colpi proibiti o fendenti di sorta. A “riscaldare” l’ambiente, nel pre-partita, oltre al copioso prosecco, ci aveva provato il “guru” statunitense, definendo nella press room Matteo Salvini e Jair Bolsonaro “le due figure politiche più importanti del mondo” e tessendo nuovamente le lodi del governo gialloverde italiano.
Nella stessa stanza, prima di posare col suo avversario in favore di fotografi, Calenda aveva avuto il tempo per una digressione sul nuovo corso del Pd di Nicola Zingaretti, reputato un provetto “antisovranista”. Quanto al confronto vero e proprio, è stato privo di colpi di scena, fatta eccezione per un botta e risposta ad alta tensione tra Calenda e la moderatrice Lucia Annunziata, bollata dal primo come “scorretta” per aver palesemente preso le parti dell’ospite americano.
Non si può sostenere che ci vuole meno stato, ma al contempo più uguaglianza. L’uguaglianza non si può fare senza welfare – @CarloCalenda a #BannonCalenda pic.twitter.com/eRdl5neKL8
— Comin & Partners (@cominandpa) 25 marzo 2019
Forse per aver percepito una certa remissività da parte del contendente sovranista, verso il quale Calenda si è rivolto chiamandolo sempre per nome, spesso in inglese e con un fare certamente più incalzante della controparte. Se c’è uno dei due che ha “attaccato”, questo è stato certamente l’esponente del Pd, coi suoi ripetuti “Steve, tell me an example”, culminato in un quasi insolente “You have to study a little bit more!”.
Al centro della contesa, ovviamente, il rapporto con l’Ue, laddove Bannon ripete come un mantra le parole contrapposte “popolo” ed “èlite” e reclama un'”Europa delle Nazioni” che sappia mandare in soffitta il “popolo di Davos” e i “tecnocrati di Bruxelles”. Argomenti che Calenda, verosimilmente si attendeva e che contrasta efficacemente osservando che in realtà l’Europa delle Nazioni è la condizione attuale dell’Ue e che i limiti di essa risiedono proprio nella mancanza di competenze sufficienti per renderla forte sullo scenario internazionale.
Qui Calenda sembra a suo agio, mentre è sulla situazione italiana che l’ex-ministro sconta dialetticamente, di fronte a Bannon la la “colpa” di aver fatto parte di un governo, ad avviso dell’americano, prono a i voleri di Bruxelles e quando Bannon ricorda al Dem le percentuali di cui è accreditata la Lega di Salvini, Calenda trova conforto nel pronosticare che questa, in Europa, “non potrà fare nulla ed è esattamente quello che farà”. Secondo il canovaccio anche il confronto sull’America di Trump, con Bannon che difende a spada tratta la riforma fiscale introdotta dalla Casa Bianca e Calenda che si inalbera contro la “demolizione del welfare” e l’aumento dell’ingiustizia sociale.
Minori le distanze sulla Cina, ma da punti di vista opposti, mentre impossibile il confronto sul Vaticano: a un lungo ragionamento sul ruolo strategico di Papa Francesco e della diplomazia vaticana, Calenda replica con un tranchant “sono ateo”, per poi chiudere un dibattito senza sussulti con una provocazione nel suo pieno stile: “Mi sento più dalla parte del diavolo…”.
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