La rete delle camere di commercio ha rilevato quasi 30mila imprese in meno nel primo trimestre 2020, contro un calo di 21mila nello stesso trimestre del 2019
di Michela Finizio
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Basta proiettare le stime del crollo del Pil sugli ultimi bilanci depositati per capire che molte imprese non riusciranno a sopravvivere alla crisi provocata dall’emergenza Covid-19. Lo ha fatto Modefinance, società specializzata nella valutazione del rating delle imprese e delle banche, analizzando i bilanci di circa 11mila imprese manifatturiere lombarde. Lo scenario è di un calo del 10% del Pil nel 2020 (-9,1% la stima del Fondo monetario internazionale per l’Italia): applicando la proiezione agli ultimi dati finanziari disponibili, circa 1.028 imprese manifatturiere (il 9,5% del totale), se non adottano contromisure, potrebbero entrare nell’area finanziaria di rischio fallimento, secondo Modefinance.
Così il calo del Pil diventa sempre più reale per il mondo delle imprese, oggi alle prese con la ripartenza. Le proiezioni consentono di fare stime, ma ovviamente la realtà dipenderà da molti altri fattori: capacità di ricapitalizzare o di mettere in atto operazioni straordinarie (ad esempio fusioni o cessioni), misure di sostegno pubblico, prolungamento o meno di misure restrittive a causa dell’emergenza sanitaria. Fatto sta che la crisi morde sui bilanci di molte aziende e i mancati ricavi di questi mesi rischiano di mettere in ginocchio molti comparti produttivi.
I primi numeri che hanno acceso i riflettori sul rischio di mortalità delle imprese sono quelli diffusi da Unioncamere-InfoCamere. La rete delle camere di commercio ha rilevato quasi 30mila imprese in meno nel primo trimestre 2020, contro un calo di 21mila nello stesso trimestre del 2019. Il bilancio della nati-mortalità delle imprese tra gennaio e marzo di quest’anno risente delle restrizioni seguite all’emergenza Covid-19 e rappresenta il saldo peggiore degli ultimi sette anni. Si deve risalire fino al 2013, uno degli anni peggiori per l’economia italiana, per trovare un saldo simile rispetto allo stesso arco temporale.
La “perdita” nel tessuto imprenditoriale italiano di 30mila attività, registrata da gennaio a marzo di quest’anno, riflette diversi fattori. Innanzitutto, lo stato di eccezionalità con cui l’economia reale si sta muovendo durante l’emergenza appesantisce un risultato di bilancio, quello sulla nati-mortalità delle imprese, che nei primi tre mesi dell’anno chiude sempre in rosso per effetto delle chiusure comunicate sul finire dell’anno precedente. Inoltre, i dati emersi potrebbero essere ancora “congelati”: per effetto delle misure restrittive in vigore a partire dal mese di marzo, si rileva un netto calo delle iscrizioni, ma anche – visto che sono “sospese” anche le procedure concorsuali – le cessazioni sono inferiori rispetto alla media del periodo. Tra gennaio e marzo si registrano 96.629 nuove aperture, a fronte di 114.410 dello stesso trimestre dell’anno precedente, e 126.912 chiusure contro le 136.069 del 2019.
Questi numeri, poi, vanno osservati nel dettaglio. Nei primi tre mesi dell’anno il saldo è stato terribilmente negativo per le imprese individuali, in parte anche per le società di persone, mentre è stato – al contrario – positivo per le società di capitali. Questi dati si riflettono a livello territoriale e settoriale: lo stock di imprese registrate si riduce maggiormente in Molise, Marche, Valle d’Aosta, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia; i principali settori che registrano le variazioni più negative sono il commercio (-1,06%), l’agricoltura (-0,98%) e l’attività manifatturiera (-0,7%). Ma per vedere i veri effetti della crisi bisognerà aspettare la ripartenza delle attività.