La filiera del cibo è sbilanciata, sostiene Confagricoltura FVG, a favore della distribuzione
Uno studio pubblicato dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura) sull’impatto del Covid-19 sull’agroalimentare e le politiche da seguire per favorire la ripresa, dice che secondo alcuni modelli econometrici vi sarà in Italia “una riduzione consistente del reddito agricolo (per ettaro) e zootecnico (per capo allevato), in entrambi i casi superiore all’ipotizzata variazione del Pil (9-10 per cento). Il comparto zootecnico sarebbe colpito da un maggiore calo di redditività, quello ortofrutticolo un poco meno”.
«Il fatto è, però, che non tutti i protagonisti delle filiere agroalimentari soffrono allo stesso modo – precisa Philip Thurn Valsassina, presidente di Confagricoltura Fvg -. Infatti, vi sono settori che crescono sensibilmente come la Gdo (+9,6 per cento) o le vendite al dettaglio di beni alimentari che hanno realizzato un +3,3 per cento nei primi sette mesi del 2020. Nello stesso periodo è buona anche la performance dell’export agroalimentare con un +3,5 per cento (contro il -14 per cento del comparto manifatturiero). A prescindere da quelli che saranno gli esiti economici dell’attuale seconda ondata (e temiamo che saranno del tutto diversi rispetto alla prima), non possiamo non notare la consueta discrasia fra il settore primario rispetto all’industria e alla distribuzione – sottolinea Thurn Valsassina -. Detto questo, in vista della prima tranche di fondi del Recovery Plan recentemente annunciata, facciamo nostre alcune delle raccomandazioni per l’agricoltura del già citato studio Crea. Bisogna evitare ogni carenza di manodopera; facilitare i trasporti dei prodotti deperibili; garantire liquidità alle imprese evitando restrizioni del credito, introducendo sussidi salariali, sospendendo i pagamenti delle imposte e l’applicazione del regolamento dei minimis; evitare ogni tipo di speculazione; riconoscere come “essenziali” tutte le parti della filiera, a monte e a valle, comprese la mangimistica e il packaging, al fine di non intaccare la catena produttiva; garantire l’integrità della filiera attraverso misure che rafforzino la tracciabilità per evitare ingiustificate crisi di fiducia sulla food safety e, al tempo stesso, rafforzare i controlli anche alle frontiere; nelle relazioni commerciali, vigilare su eventuali barriere sanitarie e fitosanitarie non giustificate e collaborare con il settore privato per individuare eventuali problematiche che dovessero manifestarsi; evitare ogni forma di speculazione che potrebbe avere un impatto negativo sui consumatori attraverso ingiustificati aumenti dei prezzi; garantire l’accesso al cibo alle fasce più vulnerabili della popolazione. Maltrattare agricoltori e consumatori – conclude Thurn Valsassina – non fa bene al cibo “Made in Friuli VG” e “Made in Italy” che ha avuto il suo riconoscimento importante anche dal recente voto favorevole del Parlamento europeo all’accordo commerciale con la Cina che comprende anche 26 eccellenze italiane (prosciutto di San Daniele e grappe comprese)».