In principio fu il Deepwater Horizon: l’incidente alla piattaforma petrolifera di British Petroleum, nel Golfo del Messico, ha comportato una stretta sulla normativa riguardante la ricerca di idrocarburi offshore (ovvero in mezzo al mare).
Lo sversamento di petrolio in mare durò ben 106 giorni, dal 20 aprile al 4 agosto 2010, con milioni di barili di greggio finiti nelle acque di fronte alla Louisiana, al Mississippi, all’Alabama e alla Florida. Ecco i riflessi che ha avuto l’incidente sulla normativa italiana.
Il balletto normativo
A seguito del clamore che ebbe quel fatto, l’allora governo Berlusconi mise un limite, le 12 miglia che definiscono le acque territoriali, allo sfruttamento dei giacimenti in mare. Si tratta di regole molto più severe, ad esempio, di quelle della California, che rappresenta un modello in materia di difesa dell’ambiente. Nel 2012 il governo Monti ridusse tale limite, portandolo a cinque miglia.
A seguito di questa scelta, le regioni più colpite decisero di indire un referendum per tornare ai limiti del governo Berlusconi. Per evitare la consultazione, il governo Renzi reintrodusse le norme ‘berlusconiane’. Ma la Corte di Cassazione e poi la Corte Costituzionale respinsero i cinque quesiti a eccezione di uno, quello riguardante la durata delle concessioni. Il governo Renzi aveva deciso che il divieto di sfruttare i giacimenti nelle acque territoriali non valesse per i giacimenti già in uso, che avrebbero potuto continuare a essere sfruttati per la durata della vita utile del giacimento stesso (finché ci fosse stato gas o petrolio).
Il referendum del 2016
Da qui ebbe luogo il referendum sulle trivelle che si tenne in Italia il 17 aprile 2016 per proporre l’abrogazione della norma sull’estensione temporale delle concessioni fino all’esaurimento della vita utile dei rispettivi giacimenti (entro le 12 miglia). L’85% dei votanti si espresse a favore dell’abrogazione della norma sulla proroga delle concessioni ma il referendum non passò perché non raggiunse il quorum, avendo votato solo il 31% degli aventi diritto.
Una curiosità: quello sulle trivelle va ricordato come il primo referendum abrogativo chiesto da almeno cinque Consigli regionali nella storia della Repubblica italiana. Le altre 66 consultazioni referendarie sono state, invece, indette con la raccolta di firme dei cittadini.
Quanti sono i pozzi e le concessioni in Italia
In Italia sono presenti più di 886 pozzi produttivi (525 onshore e 361 offshore). Di questi, 701 pozzi producono gas mentre i restanti 185 petrolio. La produzione di gas annuale ammonta complessivamente a circa 7,29 GSm3 di gas e 5,75 Mton di olio.
Le produzioni di gas e olio contribuiscono, rispettivamente, per circa il 10% e circa il 7% al fabbisogno energetico nazionale.
Le concessioni (all’interno della quale ci possono essere vari pozzi) sono 144 per lo sfruttamento di gas e petrolio in Italia, alle quali vanno ad aggiungersi 113 permessi di ricerca. La regione con il maggior numero di permessi e concessioni è l’Emilia Romagna (35 permessi e 36 concessioni), seguita da Lombardia (17 permessi e 17 concessioni) e Basilicata (10 permessi e 20 concessioni). Le concessioni durano 30 anni; se il giacimento non è esaurito si può chiedere il rinnovo per 10 anni; poi ancora per altri 5.
Cosa sono le royalty allo Stato
Con il termine royalty si indica il pagamento di un corrispettivo allo Stato per poter sfruttare un dato bene ai fini commerciali; esse sono quindi la remunerazione di diritti ceduti a terzi. In Italia le royalty per le produzioni a terra sono attualmente del 10% (a seguito dell’incremento del 3% introdotto nel 2009), mentre per le produzioni a mare è del 7% per il gas e del 4% per il petrolio e sono applicate sul valore di vendita delle quantità prodotte.
Il calcolo delle royalty dovute è effettuato in controvalore, calcolato sul prezzo del petrolio e del gas definito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Le royalty per le produzioni di idrocarburi in terraferma sono ripartite per il 55% alle Regioni, il 30% allo Stato e il 15% ai Comuni. Tuttavia per le Regioni a statuto ordinario comprese nell’Obiettivo 1 (le regioni del Sud Italia tra cui la Basilicata, principale produttore italiano di petrolio) anche la quota del 30% dello Stato è assegnata direttamente alle Regioni.
Il gettito delle royalty nelle casse dello Stato
Per le estrazioni offshore la suddivisione è per il 45% allo Stato e per il 55% alla Regione adiacente per le produzioni ottenute entro la fascia delle 12 miglia (mare territoriale), mentre oltre tale limite le royalty sono interamente dello Stato.
Il totale del gettito delle royalty nel 2011, sulle produzioni 2010, è stato pari a circa 276 milioni di euro, dei quali circa la metà sono andati a beneficio delle Regioni (127,8 milioni di euro), mentre allo Stato sono andati circa 74 milioni di euro, ai Comuni circa 19 milioni di euro e al Fondo di riduzione del prezzo dei carburanti 55 milioni, 49 dei quali distribuiti ai cittadini della Basilicata.
Complessivamente la maggior parte delle royalty (166,07 milioni) sono destinate alla Basilicata grazie alla produzione di un solo impianto posto in Val D’Agri. Rispetto agli altri Paesi, in Italia viene sottratto alle compagnie petrolifere, sotto forma di tasse e royalty, e viene ridistribuito, fra il 50 e il 68% del valore del giacimenti. In Norvegia tale quota è il 78%, in Inghilterra fra il 68 e l’82%, in Francia fra il 37 e il 50%, in Canada fra il 53 e il 63%. L’Italia quindi si colloca nella fascia medio-alta del prelievo.
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