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Cosa fanno le squadre di esport. E perché vanno prese sul serio

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Dimenticatevi i ragazzini che giocano alla PlayStation nella loro stanzetta. Dimenticatevi tutti gli stereotipi sui gamer ritratti come nerd con problemi relazionali. Il mondo degli esport, i videogiochi competitivi, è infatti oggi qualcosa di completamente diverso. È un mercato che nel 2019 supererà il valore complessivo del miliardo di dollari e, secondo le stime di Goldman Sachs, arriverà a 3 miliardi nel 2022. Con un pubblico di appassionati in rapida crescita: 200 milioni di persone nel mondo, più di un milione in Italia secondo l’ultimo rapporto Aesvi.

Un settore che si sta professionalizzando in fretta intorno alle sue star: streamer su Twitch con decine di migliaia di fan, campioni nei tornei internazionali, influencer sui social. Un universo in espansione e in cui, proprio come negli sport tradizionali, acquista sempre più importanza il ruolo della squadra. Allenamenti, organizzazione di eventi, attività di scouting, rapporti con sponsor e partner: dietro e con i pro player (i giocatori professionisti di videogiochi), sempre più spesso lavorano questi team. Il cui valore in alcuni casi può arrivare anche a somme da 9 cifre: secondo i calcoli della rivista americana Forbes ci sono già 9 squadre di esport al mondo che valgono più di 100 milioni di dollari.

Foto Mkers

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Una professionalizzazione che è arrivata anche in Italia dove, con qualche anno di ritardo rispetto al panorama occidentale, di recente sono comparse diverse realtà con ambizioni internazionali. “Abbiamo l’assetto di una vera e propria azienda, direi simile a quelle che competono negli sport reali – spiega ad Agi Daniele Ballini, cofondatore dei Mkers, uno dei team più importanti in Italia con sede a Roma – La giornata tipo è quella di un’azienda sportiva: con gli atleti vengono programmati allenamenti, rifiniture, studio delle tattiche. I team manager che si occupano ognuno di un gioco/disciplina si organizzano con i giocatori anche per rivedere le partite giocate, capire gli errori fatti e come migliorare: un po’ come negli allenamenti di una squadra di serie A. Sul lato aziendale c’è invece il dialogo costante con i clienti e gli sponsor: che per noi non sono solo delle “pecette” da attaccare alle maglie che mettiamo in mostra quando giochiamo. Con i partner si creano contenuti ad hoc per le loro pagine social, si organizzano eventi, riprese, shooting fotografici. Uno dei nostri obiettivi è quello di portare i nostri giocatori a essere “Brand ambassador” per i vari marchi. E questo richiede un lavoro costante anche sul fronte della comunicazione”.

Foto Mkers

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Mkers in questo momento è formata da quattro fondatori e sei team manager che si occupano dei vari giochi. Tra i fondatori c’è anche Thomas De Gasperi, cantante degli Zero Assoluto. “Thomas è forse quello più addentro al mondo degli esport del gruppo dei fondatori – precisa ridendo Ballini – Innanzitutto è un giocatore assiduo, ed è un super esperto di “Dota 2” (uno dei giochi più seguiti nella scena degli esport ma poco conosciuto in Italia ndr). Inoltre è un uomo di comunicazione e quindi svolge il ruolo di direttore creativo per i Mkers e ne cura la comunicazione nei dettagli”.

Sul lato sportivo i Mkers hanno sotto contratto una trentina di giocatori che competono su Fifa, Pes, Tennis World Tour, Gran Turismo, Clash Royale, Moto Gp e, da poco, anche StarCraft 2. “Abbiamo iniziato con Fifa perché in Italia è il gioco più diffuso ed è quello più facile da “comprendere” anche come esport, avendo le stesse regole del calcio reale – spiega Ballini – Il nostro Daniele “Prinsipe” Paolucci ha vinto il primo torneo internazionale a Madrid a cui abbiamo partecipato, battendo anche giocatori più quotati di lui. Questa vittoria ha contribuito a far esplodere l’attenzione per gli esport anche in Italia e a lanciarci ulteriormente. Da poco abbiamo invece creato e lanciato un team per competere su StarCraft 2 (uno dei giochi più importanti e seguiti nel panorama degli esport ndr) proprio per segnare il nostro passo successivo: ovvero l’internazionalizzazione del brand Mkers e l’ingresso nelle competizioni internazionali di alto livello”.

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Già, la competizione internazionale. Per quanto la scena italiana sia in crescita, i rivali europei, statunitensi e asiatici appaiono al momento irraggiungibili. Per risultati conquistati sul campo ma, soprattutto, per le risorse investite. “Le difficoltà per una realtà come la nostra in Italia sono tante – spiega Ballini – Di sicuro, come per le altre startup, c’è un problema di accesso ai finanziamenti. La squadra francese dei Vitality, per fare un esempio, negli scorsi mesi ha chiuso due round di finanziamento e ha portato a casa 25 milioni di euro. Una parte di questi soldi sono addirittura fondi pubblici. In Italia siamo ancora agli inizi per il mondo degli esport e sopperiamo alla mancanza di fondi con l’abbondanza di idee.

L’impressione è comunque che anche qui siamo vicini a un boom per il settore, come dimostra l’organizzazione di eventi sempre più rilevanti come la Milano Games Week. E inoltre un paio di anni fa se parlavi con possibili investitori degli esport ti prendevano per pazzo o ti dicevano che “non era una roba italiana”. Ora non è più così”. Non a caso Mkers è anche tra le 20 startup selezionate da B Heroes, il percorso di mentorship per aziende ad alto contenuto di innovazione realizzato in collaborazione con Intesa Sanpaolo, che sarà raccontato in una docu-serie televisiva in onda su Sky Uno da fine marzo e e premia la startup vincitrice con 800 mila euro.

Non può mancare poi una domanda su quello che per molti giovani è il lavoro dei sogni: come si fa a diventare un gamer professionista? “Alcuni giocatori si propongono direttamente a noi, ma facciamo anche scouting guardando ore e ore di streaming su Twitch. Cerchiamo giocatori il più possibile completi: serve avere capacità comunicative, una forte presenza sui social e la disponibilità ad ascoltare i consigli di chi ha esperienza nel settore. No, non basta essere bravi e avere talento con il joypad”.

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