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Costa: «Sul climate change non possiamo deludere i giovani»

 

I cambiamenti climatici alimentano le migrazioni. Contrastare il surriscaldamento globale può essere un modo per controllarle ?
L’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) non solo ci dice che il cambiamento climatico è ormai in atto, ma ci dice anche che ci sono delle zone al mondo particolarmente aggredite. Mi riferisco ad esempio all’Africa e soprattutto ai 14 Paesi della fascia del Sahel, colpiti da processi di desertificazione estremi. Le persone che provengono da quel territorio rappresentano circa il 70% delle migrazioni da mutamenti climatici. Sono i disperati della Terra. L’intervento lì deve essere vigoroso. Nella fascia del Sahel, l’Italia partecipa finanziariamente e con propri tecnici alla costruzione della così detta Muraglia verde, una foresta che punta a strappare alla desertificazione questo territorio. Con le Nazioni Unite, abbiamo finanziato una serie di progetti per trasformare 20mila ettari di terreno da deserto a zona di coltivazione, seppure estensiva, dando a 300mila persone la possibilità di vivere nella loro terra, secondo le proprie tradizioni. Tutto questo con fonti rinnovabili e con tecnologia italiana. Sono grandi soddisfazioni.

Fermare il surriscaldamento globale e al tempo stesso sostenere crescita e occupazione. È la scommessa della Commissione Ue e della Germania. È possibile?
Credo di sì. La questione non è solo metterci fondi, anche molto consistenti, ma crederci. Questo per me significa pensare finalmente che il paradigma produttivo può cambiare, ma senza lasciare indietro nessuno. Ciò non vuol dire un cambiamento nel giro di un giorno, vuol dire affrontare in una visione politica tanti piccoli step. Vuol dire cominciare ad abbandonare le materie prime fossili, per arrivare alle fonti rinnovabili, lentamente ma costantemente. Aiutando quei soggetti che affrontano questo cambiamento, in modo che non ne soffrano lo stress. Studi recenti dicono che per ogni posto di lavoro nella produzione dei combustibili fossili, se ne possono ottenere tra tre e cinque che producono fonti rinnovabili. Se addirittura si guadagnano posti di lavoro, si salvaguarda l’ambiente e il mondo è pronto a intervenire sia nel privato che nel pubblico per superare il gap della transizione, non vedo perché non si debba fare. Quindi servono fondi e visione politica.

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In Europa però c’è un gruppo di Paesi che frena. Come li si convince?
Sono sostanzialmente i Paesi del blocco di Visegrad, con un’economia nata sul fossile. Chiedono aiuto e tempo. Non è una volontà a non fare, è una richiesta di aiuto e l’Europa deve tenerla presente, altrimenti si crea un continente a più velocità e non saremmo corretti dal punto di vista ambientale, ma nemmeno autorevoli rispetto al resto del mondo.

Sul decreto-clima lei va avanti.
Il decreto clima nasce da un’idea: osiamo di più. Se abbiamo posto l’ambiente al centro dell’azione del Governo, adesso è il momento di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Il decreto clima è una bozza, deve essere sistemato dal punto di vista tecnico, non solo per le così dette coperture, una questione non tecnica ma tecnicistica, ma semplicemente perché nessuno salva il clima da solo: è un insieme di ministri e ministeri che devono lavorarci. Chiuderemo questa definizione nelle prossime ore e giorni. Il provvedimento va approvato al più presto. Ritengo che lo strumento del decreto legge vada esplorato per questo tipo di norma, perché noi abbiamo un’emergenza climatica. Che ci impone di fare presto.

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