Le nascite crollano per il quinto anno di fila in Cina, scivolando nel 2021 ai minimi non solo dell’Annuario statistico compilato dal 1978, ma anche dalla fondazione della Repubblica popolare nel 1949. A fine 2021, la popolazione si è attestata a 1,413 miliardi, in rialzo dello 0,034% sul 2020, con solo 10,62 milioni di neonati: un rapporto di 7,52 per mille persone da 8,52 dell’anno precedente. Per la leadership comunista il drammatico quadro tracciato dall’Ufficio nazionale di statistica suona come un vero campanello di allarme per la tenuta di economia e assetti sociali: con l’invecchiamento della popolazione e la forza lavoro in calo, i rischi di esplosione della spesa per welfare e social security sono all’orizzonte, gettando le basi per decisioni impopolari come l’innalzamento dell’età pensionabile, ora sotto i 60 anni.
Malgrado la fine della politica del figlio unico del 2016, il via libera a un massimo di due figli non ha portato al baby boom sperato a causa di un costo della vita sempre più alto. L’anno scorso, le autorità cinesi hanno esteso la pianificazione familiare a tre figli, con incentivi e moral suasion che non hanno risparmiato gli oltre 90 milioni di iscritti al Partito comunista, provocando malumori e risultati non quantificabili. L’economia, nel frattempo, ha tenuto il passo della ripresa post Covid trainata dall’export, sia pure con segnali preoccupanti. Il Pil del 2021 si è chiuso con un rialzo dell’8,1%, ai massimi di un decennio e “oltre il 6%” governativo, grazie al 4% dell’ultimo trimestre migliore delle attese, ma i dati di dicembre hanno presentato vendite al dettaglio dimezzate a +1,7% su novembre, quando i consumi dovrebbero essere il propellente della crescita secondo la ‘doppia circolazione’. La produzione industriale è salita del 4,3% (dal 3,8%), sempre a livelli insufficienti.
La politica della tolleranza “zero al Covid” ha consentito alle attività domestiche di tornare in gran parte alla normalità con le rigide misure alle frontiere e i blocchi mirati contro i focolai domestici. Considerando il 2021, il Pil ha beneficiato del balzo della prima metà dell’anno e della solida domanda su scala internazionale di prodotti cinesi quando il mondo intero è ancora alle prese con la pandemia, ma ha iniziato a perdere vigore nella seconda metà per la stretta ai settori immobiliare, tecnologico e dell’istruzione, della crisi energetica e del costo eccessivo delle materie prime.
L’emergere simultaneo della variante Omicron a Pechino, Shanghai e Guangdong sta creando ostacoli al governo poiché gli sforzi aggressivi per contenere il virus, compresi i blocchi, sono meno fattibili in aree politicamente ed economicamente cruciali. Goldman Sachs ha tagliato la scorsa settimana l’outlook della Cina sul 2022 dal 4,8% al 4,3%. Il senso della delicatezza della congiuntura l’ha confermato la Banca centrale cinese (Pboc), tagliando a sorpresa (dal 2,95 al 2,85%) i costi di finanziamento dei suoi prestiti a medio termine per la prima volta da aprile 2020, a dispetto delle aspettative dei mercati, proprio a sostegno dell’economia.
Il presidente Xi Jinping, tuttavia, si è mostrato ottimista. “Abbiamo piena fiducia nel futuro dell’economia cinese”, che gode nel complesso “di un buono slancio”, ha assicurato aprendo la sessione del World Economic Forum 2022 in modalità virtuale. Malgrado le pressioni nazionali e internazionali, “i fondamentali, caratterizzati da una forte resilienza, un enorme potenziale e una sostenibilità a lungo termine, rimangono invariati”.
Fonte Ansa.it