Gli ultimi numeri diffusi qualche giorno fa dall’Inps sul mercato del lavoro hanno evidenziato, con chiarezza, l’impatto delle nuova normativa introdotta dal decreto dignità sui contratti a termine. Nei primi tre mesi dell’anno il saldo dei nuovi rapporti temporanei si è fermato a poco più di 5mila unità (nello stesso periodo 2018 si superava quota 141mila).
I contratti in somministrazione sono letteralmente crollati: nel solo mese di marzo la loro variazione netta, vale a dire attivazioni meno cessazioni, è scesa ad appena 5mila unità. Al tempo stesso, le domande di disoccupazione veleggiano da mesi sopra 100mila, e non è escluso che a fare istanza all’Inps per ottenere l’assegno siano molti lavoratori a termine non rinnovati (certo, ce ne sono altri a cui il contratto è stato stabilizzato, ma complessivamente il saldo occupazionale resta negativo).
I nodi critici del decreto dignità
Sotto la lente, soprattutto della Lega, è finito il decreto dignità, in vigore dallo scorso 14 luglio, che, come noto, ha operato una forte stretta sui rapporti d’impiego flessibili. Dal 1° novembre è entrato a regime con l’esaurirsi, il 31 ottobre, del periodo transitorio. Due, in particolare, sono gli aspetti più critici della nuova normativa: la reintroduzione delle causali, vale a dire le ragioni che giustificano il ricorso a un rapporto temporaneo, che dopo i primi 12 mesi “liberi” diventano obbligatorie in caso di proroghe e scattano sempre nei rinnovi; e l’aggravio contributivo, dello 0,5%, aggiuntivo rispetto all’1,4% già previsto dalla legge Fornero.
Più peso alla contrattazione
Il successo elettorale alle Europee, ora, potrebbe spingere il Carroccio ad accelerare nell’operazione di restyling del decreto dignità. La proposta, a suo tempo avanzata dai parlamentari leghisti, è quella di far rientrare nella partita la contrattazione collettiva nazionale, alla quale, quindi, tornerebbe a essere affidato il compito di prevedere “motivi” aggiuntivi rispetto a quelli delineati dal decreto dignità per ricorrere a un contratto a termine, come già, in passato, fu fatto con la legge 56 del 1987, articolo 23. Da quanto si apprende, i parlamentari della Lega starebbero ragionando su questo correttivo da inserire in uno dei prossimi veicoli normativi all’esame del Parlamento.
Le “correzioni” già fatte
Del resto, il decreto dignità è stato già corretto. A fare da apripista nel “ritoccare” il provvedimento è stata, prima di Natale, l’intesa raggiunta da Assolavoro con i sindacati per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di settore. Non solo. In legge di Bilancio lo stesso governo è corso ai ripari, introducendo un comma che esenta dai nuovi limiti i contratti a tempo determinato stipulati da: pubbliche amministrazioni, università private, incluse le filiazioni di università straniere, istituti pubblici di ricerca, società pubbliche che promuovono l’innovazione ovvero enti privati di ricerca.
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