Dieci anni fa il default della banca americana che sconvolse l’economia mondiale. Italia colpita duramente: in dieci anni reddito e consumi a picco, poveri raddoppiati (quest’anno record di oltre 5 milioni). Ma forse c’è luce in fondo al tunnel
Era il 15 settembre 2008 quando, intorno alle 5 del mattino, Lehman Brothers, la quarta maggiore banca d’investimento degli Stati Uniti, chiedeva l’ammissione al Chapter 11 del codice fallimentare statunitense, dichiarando il default. Fu l’inizio di una crisi finanziaria globale, che ha stravolto l’economia mondiale e che, a 10 esatti di distanza, fa ancora sentire il suo peso.
Molti analisti hanno paragonato l’impatto del crac Lehman Brothers alla caduta del muro di Berlino o al crollo delle Torri Gemelle, a significare gli effetti di una crisi che ha travolto gli Stati Uniti e innescato una recessione economica mondiale, il cui primo sintomo fu il repentino crollo dello Borse. Il Dow Jones (l’indice principale della Borsa di New York) perde oltre 504 punti, il crollo più alto dal 17 settembre 2001, primo giorno di scambi dopo l’attentato alle Torri Gemelle. In una sola seduta i listini del Vecchio Continente bruciano oltre 120 miliardi di euro di capitalizzazione.
Il crollo della finanza in Italia: Borsa di Milano la peggiore al mondo per rendimento
In questi giorni in piazza Affari, a Milano, è ‘spuntata “Borsopoly”, una grande installazione allestita da Banca Etica attorno alla scultura del dito medio, ‘Love’, di Maurizio Cattelan, che, come il tabellone del Monopoly, ripercorre le tappe la storia della finanza dal 2008 a oggi, con l’obiettivo di “denunciare i limiti e le assurdità” dei giochi finanziari e scoprire in modo ironico le dinamiche dei mercati. Proprio la Borsa di Milano, in questi dieci anni dal crac di Lehman Brothers, è stata la peggiore per rendimento tra i 20 principali mercati mondiali: chi ha investito 100 euro alla Borsa di Milano nel 2006 oggi se ne ritrova in tasca solo 83,6 con un rendimento annuo, incluso il reinvestimento dei dividendi, pari al -1,6% (peggiore del -1,4% di Lisbona, dello 0,6% della Borsa russa e del -0,4% di Madrid, unici quattro listini in territorio negativo). In dieci anni il listino milanese ha perso oltre 200 miliardi di capitalizzazione, a conferma di come gli anni della crisi abbiano gravemente colpito la finanza italiana, che, come tutta l’Europa, nel 2009 si è trovata ad affrontare l’altra crisi, quella dei debiti sovrani innescata dalla Grecia a ottobre 2009 ed esplosa nel Belpaese nell’estate del 2011.
In Italia in dieci anni reddito e consumi a picco, poveri raddoppiati soprattutto tra i giovani
A dieci anni dall’inizio della crisi economica peggiore del dopoguerra, l’Italia si trova ancora a dover colmare il gap provocato dal fallimento della Lehman Brothers. E non solo a livello finanziario, ma in tutti i settori economici del Paese, che presentano senza distinzioni cicatrici ancora profonde. A soffrire terribilmente in questi anni sono stati i consumi: rispetto a dieci anni fa gli italiani spendono circa 700 euro in meno ciascuno. Un crollo favorito da un cambiamento delle modalità di acquisto, di cui il boom di discount e outlet sono la più evidente testimonianza, così come la crescita esponenziale dello shopping online, cui oggi il 63% dei consumatori si affida per cercare il miglior prezzo di qualsiasi tipo di prodotto. Nemmeno i prodotti alimentari in tal senso vanno esenti, anzi si stima che oggi, rispetto al 2008, si spende il 9% in meno per mangiare in casa, che tradotto corrisponde a un taglio di quasi 270 euro all’anno.
A pesare è stata la perdita di potere d’acquisto degli italiani, colpiti negli ultimi dieci anni da una diminuzione del reddito che, secondo Confcommercio, è pari mediamente a 2.000 euro. E i risultati sono che oggi gli abitanti della Penisola non solo sono meno ricchi, ma sono anche percentualmente raddoppiati i poveri, che quest’anno hanno raggiunto la cifra record di oltre 5 milioni e che non sono più quelli di una volta: se nel 2008 l’indigenza colpiva soprattutto i più anziani, l’eredità della lunga crisi è che la condizione di povertà ha investito soprattutto i giovani.
Dieci anni fa i poveri tra gli over 65 erano il 5,6% e oggi sono il 4,6%, mentre tra gli under 34 l’incidenza dei poveri assoluti, allora il 3%, oggi supera il 10%. L’Istat, inoltre, da qualche anno ha introdotto anche la classe di età fino a 17 anni che detiene il primato negativo: tra i giovanissimi i poveri sono il 12,1%, mentre 10 anni fa il dato era compreso negli under 34. A livello geografico il peggioramento è stato piuttosto omogeneo, anche se il Sud continua a mostrare i valori più elevati. L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta nel Meridione nel 2017 si è attestata al 10,3% mentre nel 2007 era al 5,8%. Nelle regioni del Centro oggi è al 5,1% contro il 2,9% di dieci anni fa e al Nord è salita al 5,4% contro il 3,5%.
Le mutazioni del tessuto economico. Ma c’è luce in fondo al tunnel
D’altra parte il lavoro latita e negli ultimi dieci anni, fa notare Istat, “si sono manifestate profonde trasformazioni nella composizione”, con gli occupati part time aumentati di quasi un milione, a fronte di una diminuzione di poco inferiore di quelli a tempo pieno. E ad essere cambiata è anche la configurazione del tessuto economico produttivo nazionale: la produzione industriale ancora oggi è indietro del 20% rispetto al picco pre-crisi, mentre la piccola impresa continua ad essere fiaccata dai processi di globalizzazione, al punto che, secondo Confartigianato, in dieci anni edilizia e manifattura hanno perso oltre un decimo delle aziende, circa 164 mila unità pari a uno stillicidio di 45 aziende in meno al giorno.
Eppure, dopo i primi segnali di ripresa del 2015 e il superamento lo scorso anno del livello pre-crisi a +1,5%, gli ultimi dati del 2018 relativi al secondo trimestre registrano una crescita del Pil pari a +0,2% sul trimestre precedente e +1,1% sull’anno. Sul fronte dell’occupazione, inoltre, è solo nel secondo trimestre 2018 che si raggiunge e si supera il livello pre-crisi e, secondo gli ultimi dati Istat, nel secondo trimestre del 2018 si è raggiunto e superato il numero degli occupati del secondo trimestre 2008 e il tasso di occupazione 15-64 anni non destagionalizzato è tornato allo stesso livello (59,1% in entrambi i periodi). Segnali che, forse, dopo dieci anni, si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel.