L’aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici, per la tornata contrattuale 2019-2021, arriva al 3,7 per cento
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L’aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici, per la tornata contrattuale 2019-2021, arriva al 3,7% che per il complesso della P.a (3,3 milioni di lavoratori) significa una stanziamento totale a regime di 6 miliardi di euro, equivalenti a un rialzo medio in busta paga di circa 100 euro lordi mensili a testa. É questa la stima l’Aran in occasione della presentazione del Rapporto semestrale sulle retribuzioni.
Dalla legge di bilancio 3,4 milioni
L’Agenzia che segue in rappresentanza del Governo la contrattazione nella P.a, ha sottolineato come con la legge di Bilancio per il 2020 le risorse appostate sul rinnovo sforino i 3,4 miliardi. Ma in manovra compaiono solo gli stanziamenti per gli incrementi dei settori statali, dai ministeri alla scuola. Al resto, enti locali e sanità, devono provvedere Comuni e Regioni con i loro budget.
In totale servono 6 miliardi
Ecco che l’ammontare complessivo necessario ad alimentare la tornata contrattuale 2019-2021, sommando tutto, anche le disponibilità per le forze dell’ordine, è di 6 miliardi di euro. Il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo, spiega che in questo modo l’incremento assicurato sarebbe «lievemente superiore al precedente», quello relativo al trenino 2016-2018 (+3,48%). Nel corso della presentazione del Rapporto sulle retribuzioni nel pubblico impiego è stata ricordata anche la richiesta dei sindacati, arrivata giusto ieri, per innalzare lo stanziamento per i rinnovi di altri 1,5 miliardi di euro. Aggiunta che farebbe salire l’aumento medio pro-capite a circa, si stima, 125 euro medi mensili lordi.
La dote per i redditi bassi: 534 milioni
La dote per i redditi bassi del pubblico impiego, il cosiddetto ‘elemento perequativo’, creato con la precedente tornata contrattuale avrebbe un costo complessivo a regime di 534 milioni di euro. Il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo, e il dirigente, Pierluigi Mastrogiuseppe, calcolano in 245 milioni la spesa annua per il settore statale e in 288 milioni per il resto della P.a. Una cifra che a livello pro-capite equivale a circa 10 euro mensili lordi. Ma in realtà si tratta di un’aggiunta pensata per i livelli retributivi inferiori, anche per evitare che l’incremento derivante dal rinnovo contrattuale sottraesse il beneficio del bonus degli 80 euro. Con la legge di Bilancio per il 2019 l’elemento perequativo è stato prorogato, viene ricordato dall’Aran, ma il suo costo si scarica sulla nuova tornata contrattuale, funzionando come una sorta, si spiega, di “anticipo”.
Contratto presidenza Consiglio ancora da fare
Si parla di aprire i negoziati per il rinnovo del contratto del pubblico impiego ma la precedente tornata contrattuale, per il triennio 2016-2018, ancora non si è conclusa: “restano da chiudere il contratto per i dirigenti degli enti locali e quello per il personale dirigente e non della presidenza del Consiglio dei ministri», ha sottolineato il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo, in occasione della presentazione del Rapporto semestrale sulle retribuzioni. Se per gli enti locali, dice Naddeo, le trattative sono a buon punto («si spera di finire a marzo», per la presidenza del Consiglio, 4 mila dipendenti (dirigenti esclusi), invece la discussione «è più difficoltosa, nonostante siano anche state aggiunte delle risorse con l’ultima legge di Bilancio per aumenti medi mensili di 276 euro circa».