Dai costi per le aziende a quelli per i contribuenti. La strada dei fondi interprofessionali che svolgono attività di formazione
di Giorgio Pogliotti
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Si torna a parlare di riduzione dell’orario di lavoro perchè le imprese a fatica riusciranno a tornare ai livelli pre-emergenza, in presenza di un crollo del Pil, di una caduta della domanda interna e mondiale. Un recente studio del Censis e di Confcooperative ha stimato in 2 anni il tempo necessario per tornare sui ritmi produttivi di gennaio 2020. Prende spunto da questo scenario il tema della rimodulazione dell’orario di lavoro e del ricorso agli ammortizzatori sociali per evitare i licenziamenti.
Il nodo dei costi
I sindacati propongono di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, ma il tema da capire è chi paga? Se i costi vanno sostenuti dalle imprese, peraltro, alle prese con enormi problemi di liquidità, queste imprese si troverebbero con un extracosto e finirebbero in breve fuori mercato.
La Proposta Catalfo nel Dl maggio
Nella bozza del decreto legge di maggio, è contenuta la proposta del ministro del lavoro, Nunzia Catalfo, di istituire un fondo da 230 milioni presso l’Anpal per finanziare la formazione dei lavoratori che, in virtù di accordi collettivi aziendali sulla rimodulazione dell’orario di lavoro, avranno l’orario ridotto e potranno occuparsi della formazione.
La contrarietà delle imprese
Le imprese leggono la proposta Catalfo come una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, con oneri posti a carico della fiscalità generale. Il rischio è che si faccia la festa dei formatori, più che aiutare concretamente i lavoratori, a spese dei contribuenti.
Gli strumenti già esistono. Si dimentica che già oggi, anche per i cassintegrati che hanno una riduzione dell’attività lavorativa, ci sono i fondi interprofessionali che svolgono attività di formazione.
Niente formazione per i disoccupati
La disponibilità di nuove risorse pubbliche, potrebbe servire invece per quei lavoratori che saranno espulsi dallle imprese, per aiutarli ad essere ricollocati in altre aziende. A questo proposito va ricordato che l’assegno di ricollocazione è stato limitato ai soli percettori del reddito di cittadinanza e che i disoccupati sono stati tagliati fuori da questa misura di politica attiva del lavoro. La drammaticità della crisi dovrebbe spingere il governo a reintrodurre questa misura per i percettori di Naspi,