Attraverso un budget europeo basato su risorse proprie, Bruxelles potrà definire le sue autonome priorità di policy usandole per poi condizionare i Paesi europei
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Nonostante l’impatto devastante generato dalla pandemia, non mancano coloro che pensano che, una volta passata la nottata, tutto ritornerà come prima. Il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha ricordato pochi giorni fa che il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) «è stato solamente sospeso» e che in autunno si valuterà «come farlo ripartire». Un’opinione poco realistica, se è vero che la pandemia sta determinando ovunque un aumento verticale del debito pubblico (nel 2020, 102% in media del Pil europeo), debito che richiederà anni per essere riassorbito. Ma anche poco perspicace, se è vero che la pandemia sta avviando, attraverso la creazione di una capacità fiscale europea, un cambiamento del paradigma fiscale per il rilancio post-pandemico delle economie nazionali. La realtà obbliga al cambiamento, il modello con cui interpretarlo rimane, talora, quello vecchio. Vediamo meglio.
Le regole
Il vecchio modello (ispiratore del PSC) aveva costituito la risposta ai problemi sollevati dal compromesso politico istituzionalizzato nel Trattato di Maastricht del 1992. In quel compromesso, la Germania ottenne la centralizzazione della politica monetaria e la Francia la decentralizzazione della politica fiscale. Una sola moneta, 19 (oggi) politiche fiscali. Tuttavia, per evitare che le sovranità fiscali nazionali finissero per generare azzardo morale (un Paese spende più di ciò che potrebbe, trasferendo sugli altri Paesi l’onere di pagarne i debiti), fu deciso di introdurre regole molto rigide per contenere le politiche nazionali di bilancio. Il PSC è l’espressione di quelle regole (il deficit pubblico non può superare il 3% e il debito pubblico il 60% rispetto al Pil nazionale), cui si sono aggiunte ulteriori e complicate regole nel corso della crisi finanziaria del decennio scorso.
Modello in discussione
Tale centralizzazione regolativa ha finito per accentuare la corresponsabilizzazione di un Paese nei confronti di tutti gli altri (tant’è che, nonostante i Trattati, nessun Paese è stato “autorizzato” a fallire, perché ciò avrebbe sconquassato anche gli altri). La magnitudine della crisi pandemica ha messo in radicale discussione un modello pensato per essere impermeabile al tempo e al contesto. Non può stupire che, pochi giorni fa, Niels Thygesen, il presidente dello European Fiscal Board (il comitato di consiglieri indipendenti della Commissione sulle questioni fiscali), abbia invitato alla cautela coloro che pensano di poter ritornare ad applicare le regole del PSC come nel passato. Un invito reiterato da esponenti della stessa Commissione, tra cui il nostro Paolo Gentiloni.
La revisione
Piuttosto, secondo Thygesen, occorrerà elaborare nuove regole «che assegnino limiti specifici di debito ad ognuno degli stati membri in relazione alle circostanze delle loro economie nazionali». Gli effetti asimmetrici della pandemia rendono implausibile il ritorno ad un approccio centralistico basato su regole identiche per contesti nazionali diversi. Ciò significa, “liberi tutti”? Tutt’altro. Già nel settembre scorso, lo European Fiscal Board aveva presentato un Rapporto per la revisione del PSC, discusso anche su questo giornale da Massimo Bordignon (membro del Board). Secondo quel Rapporto, ad esempio, la sorveglianza europea sui bilanci nazionali dovrebbe riguardare la spesa nominale, dovrebbe consentire l’uso di quest’ultima in funzione anticiclica, dovrebbe valutare l’andamento della spesa su base almeno triennale. Non si proponeva di rinunciare alla convergenza tra le economie dell’Eurozona, ma di favorirla attraverso stimoli piuttosto che punizioni (ad esempio, il rispetto delle regole europee dovrebbe essere la condizione per accedere ai fondi strutturali europei). Naturalmente, la maggiore autonomia dei governi nazionali avrebbe portato con sé una loro maggiore responsabilizzazione (anche verso i mercati i finanziari). Bruxelles non poteva più essere usata come il capro espiatorio delle incapacità governative nazionali.
Il doppio bilancio
La pandemia ha non solo accelerato l’esigenza della riforma del PSC, ma ha creato un contesto radicalmente nuovo in cui collocarla. Con le decisioni che sono in discussione in questi giorni nel Consiglio europeo, Bruxelles non dovrà più limitarsi a controllare le politiche di bilancio nazionali, ma potrà condizionarle attraverso una sua autonoma politica di bilancio. “Next Generation EU”, con relative tasse europee, è il treno con cui John Maynard Keynes può arrivare a Bruxelles. Un arrivo, però, che non sarà privo di sfide (per i governi nazionali, il nostro in particolare). Attraverso un budget europeo basato su risorse proprie (e non su trasferimenti nazionali), Bruxelles potrà definire le sue autonome priorità di policy (digitalizzazione, riconversione ambientale, risparmio energetico, sostenibilità industriale, riqualificazione professionale), usandole per poi condizionare i Paesi europei. Per poter beneficiare dei fondi europei, i governi dovranno perseguire obiettivi nazionali congruenti con le priorità europee (negli Stati Uniti li chiamano grants-in-aid). Se i governi nazionali non lo faranno, perderanno quelle risorse. Il modello del doppio, ma distinto, bilancio spingerà verso una responsabilizzazione ulteriore delle capitali nazionali.