di Manuela Perrone e Gianni Trovati
(Ansa)
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Esaurita la forza propulsiva di reddito di cittadinanza e quota 100, con il faro di Bruxelles che resta acceso sui nostri conti pubblici italiani, l’alleanza gialloverde si è inceppata. Con il contratto ridotto a scatola vuota, i fronti di scontro moltiplicati e l’eterno mediatore, il premier Giuseppe Conte, trasformato in asse con Luigi Di Maio nel rivale diretto di Matteo Salvini. Il vicepremier leghista, che dopo le europee è diventato l’azionista di maggioranza nel Governo, ha indicato con chiarezza i tre temi su cui non può accettare “no”: l’autonomia, la riforma della giustizia e la manovra (leggasi flat tax). Tre campi minati sui quali l’incidente è sempre dietro l’angolo.
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L’ennesimo vertice previsto per oggi sulle autonomie ieri ha impegnato Conte in una nuova girandola di riunioni con il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti e la titolare degli Affari regionali Erika Stefani per limare ulteriormente l’ultima proposta sulla scuola, che dopo avere abbandonato l’idea dei ruoli regionali ha infiammato il confronto sulla possibilità per gli enti territoriali di finanziare con risorse proprie quote aggiuntive dei fondi decentrati. La questione istruzione è cruciale anche per definire gli aspetti finanziari delle autonomie, tornata sui tavoli delle riunioni serali a Palazzo Chigi con i tecnici di Via XX Settembre impegnati a trovare una soluzione anche sul fondo di perequazione chiesto a gran voce dai Cinque Stelle e osteggiato dalla Lega.
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Ma sui tavoli torna prepotente anche la riforma delle Province. L’occasione è stata la presentazione, ieri a Roma, di una ricerca Upi secondo cui la riforma Delrio ha prodotto risparmi reali per soli 16 milioni, 26 centesimi a italiano. Anche qui la distanza fra Lega e M5S è massima. Il Carroccio chiede di tornare alle province con funzioni piene ed elezione diretta di consiglieri e presidenti, cancellando la giungla degli enti intermedi che spesso si sovrappongono alle attività provinciali. Il tavolo tecnico-politico tra Mef e Viminale aveva prodotto un’ipotesi di riforma, su cui è caduto il veto del leader M5S Di Maio. «È un altro no di cui non si comprende la ragione», tuona il sottosegretario leghista all’Interno, Stefano Candiani. «Ora bisogna decidere», rilancia la ministra Stefani. Ma il pressing arriva anche dai sindaci: in 1.550 hanno già firmato un ordine del giorno a sostegno degli enti di area vasta che sarà presentato la settimana prossima in Conferenza Stato-Città.