
Secondo il report di Viale dell’Astronomia la complessità delle sfide ambientali ed energetiche future non può portare il paese a puntare su un’unica tecnologia. E il gas sarà centrale per gestire la transizione verso gli obiettivi fissati dal Pniec e dalla Ue
di Celestina Dominelli
Energia, la transizione green porterà più occupazione in Europa
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Il messaggio è duplice con un occhio agli obiettivi stringenti del Piano nazionale energia e clima (Pniec): il gas ha un ruolo centrale nelle strategie di decarbonizzazione nazionale ed europea. E la complessità delle sfide future, dalla sicurezza energetica alla riduzione delle emissioni, non può essere affrontata schierando il sistema su una sola tecnologia. Pena la perdita di competitività del nostro sistema economico, energivori in primis (dall’acciaio alla carta, fino alla ceramica), e di prospettive di sviluppo industriale. Una direzione messa nero su bianco nello studio di Confindustria coordinato dal vicedirettore politiche industriali Massimo Beccarello con il project manager Andrea Andreuzzi, che sarà presentato domani nel convegno “Sistema gas naturale, transizione e competitività”, i cui lavori saranno aperti dal presidente del Gruppo tecnico energia di viale dell’Astronomia, Giuseppe Pasini.
Il peso rilevante del gas nella generazione elettrica
Il documento, realizzato in collaborazione con Nomisma Energia, muove dal contributo cruciale che il gas ha nella generazione elettrica in Italia e dal supporto all’intermittenza delle rinnovabili che dovrà assicurare nel prossimo futuro. Un peso rilevante, insomma, destinato ad aumentare via via che crescerà l’apporto delle fonti “verdi” e che arriverà a traguardo lo spegnimento delle centrali a carbone (phase out). Da qui la necessità, suggerisce il report – al quale hanno contribuito anche Anigas, Assofond, Assomet, Coordinamento Consorzi Energia, Federacciai, Igas-Imprese Gas, Assocarta, Assogas, Assovetro, Confindustria Ceramica, Federchimica e Snam – di puntare sulla piena integrazione del sistema energetico, affiancando un’adeguata copertura infrastrutturale a una crescente elettrificazione dei consumi. Che vuol dire, soprattutto, insistere – avendo come bussola l’obiettivo di fare dell’Italia un hub del gas -, sulla diversificazione di fonti e rotte di approvvigionamento sia verso il corridoio Sud (completando il Tap per cominciare) sia verso il Nord Europa.
E qui lo studio di Confindustria si sofferma sulla Germania che, con il raddoppio del Nord Stream, rischia di far pesare ancor di più il gap di competitività (prezzi dell’energia più bassi) tra le imprese teutoniche e quelle della penisola con l’Italia che già oggi sconta un differenziale sul prezzo del gas rispetto al Nord Europa di circa 2 euro per megawattora. Ma la forbice finirà per allargarsi senza interventi infrastrutturali e senza le misure necessarie a rendere più liquido il mercato nazionale. Su cui pesano, sottolinea l’analisi, per lo meno altre due fragilità.
La dipendenza italiana dall’estero
La prima rinvia all’enorme dipendenza energetica dell’Italia dall’estero: circa il 75%, ben al di sopra della media dei paesi europei (54%), livello che sale oltre il 90% se si considera anche il petrolio. Con il risultato che, nel 2018, a fronte di un consumo di energia pari 160 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (tep), ne abbiamo coperti oltre 100 milioni importando idrocarburi. E la bolletta energetica è arrivata così a 40 miliardi (il 2% del Pil italiano).
Strettamente collegata a questa, poi, c’è una seconda debolezza: il calo, nonostante le importanti riserve, della produzione nazionale, soprattutto nei giacimenti a mare, bloccati da vincoli legislativi che di fatto ne impediscono lo sfruttamento. E che impattano inevitabilmente su una filiera nazionale che ha saputo innovare e valorizzare le sue competenze e che conta 100mila addetti e oltre 20 miliardi di export. Un tassello importante, quindi, nel tessuto economico che ha bisogno a monte di una strategia energetica di lungo respiro. Come tutto il sistema.