I conti pubblici, la spesa, l’entità della o delle eventuali manovre correttrici e il buco del bilancio restano la principale preoccupazione. Delle categorie, della politica, dei giornali, che anche oggi ci puntano nel tentativo di fare chiarezza. E vedere se in fondo al tunnel si intravvede una luce.
Il Sole 24 Ore, ci ricorda con un titolo di apertura della prima pagina, che ”Con il Def 2 miliardi di tagli alla spesa” quale effetto della “frenata del Pil che “gonfia il deficit” e “ipoteca i due miliardi ‘congelati’ dal governo a dicembre”. Il quadro delineato dal quotidiano confindustriale è questo: “L’attivazione della clausola sulla spesa è destinata a tagliare per quest’anno una serie di voci soprattutto a carico dei ministeri dell’Economia (1,18 miliardi, tra cui 916 milioni destinati a «competitività» e «incentivi» alle imprese) e delle Infrastrutture (300 milioni per il trasporto locale).
Ed è considerata inevitabile per tamponare un disavanzo spinto al 2,4% del Pil da una crescita tendenziale dello 0,1%”. “Numeri – si legge ancora – su cui peseranno anche i dati attesi dall’Istat su conti economici nazionali, Pil e indebitamento Pa 2018 e produzione industriale di febbraio”. Pertanto “questi dati torneranno a spingere al rialzo anche il debito; il suo peso è già stato ritoccato per il 2018 al 132,1% del Pil dal 131,7%” analizza Il Sole.
Per Repubblica l’Europa non crede ai piani del governo
Un quadro fosco che non viene certo rischiarato dalla lettura de la Repubblica, che dopo averci raccontato a pag. 6 che L’Europa non crede affatto ai piani del governo italiano in quanto il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, afferma: “Quest’anno, l’economia rallenta, la nostra stima di inverno era di una crescita dello 0,2% ma ora potrebbe essere anche più bassa”, a pag. 4 ci gela agitando in un titolo “Il Fantasma dell’Iva”.
Il superministro economico resta il centro dello scontro, alternativamente ora con Di Maio e ora con Salvini. Perché, come ci racconta il quotidiano diretto da Carlo Verdelli, “è un ‘macigno nero’ quello che il Def-verità di Tria getta sulle ambizioni dei gialloverdi per la prossima ‘Finanziaria’. La crescita non c’è, il deficit e il debito aumentano e già ci impegniamo nelle pagine del Documento di economia e finanza ad ‘attuare’ la clausola di salvaguardia da due miliardi prevista dagli accordi con Bruxelles del dicembre scorso che prevedeva il congelamento prudenziale delle spese dei ministeri fino al test di metà anno” confermando quel che scrive il quotidiano confindustriale.
“In pratica – si legge ancora su la Repubblica – una manovrina che nelle prossime settimane diventerà definitiva imponendo tagli ai trasporti, alle imprese e alla sanità”. Così, “a conti fatti, in base alla bozza del Def, per il prossimo anno, già si prevede una manovra, tra Iva e correzione, di 26,4 miliardi; in tre anni bisognerà trovare tutto compreso 43 miliardi”. Morale della favola? “Spazi per nuove spese non ce ne sono, soprattutto non ci sono margini per la mini flat tax leghista, che costa 12-15 miliardi e che prevede, a partire dal 2020, una Irpef del 15 per cento fino a 50 mila euro favorendo sostanzialmente i ceti medio alti”.
Allora la soluzione? “Ci sarebbe – spiega l’articolista -, ma è assai pericolosa: aumentare l’Iva di oltre 3 punti dal 1° gennaio del 2020 dall’attuale 22 al 25,2 per cento. Un passo delicato che aumenterebbe la pressione fiscale, farebbe alzare l’inflazione e graverebbe sulle fasce più povere. Inoltre la mossa non libererebbe 23 miliardi da spendere alternativamente, perché la somma andrebbe trovata da qualche altra parte per garantire i saldi di bilancio sui quali ci siamo già impegnati, anche se certamente allargherebbe i margini di azione del governo”. Insomma, la Leg continua ad esigere la flat-tax, ma attuarla “significa tassare di più i consumi”. Con effetti depressivi.
Sul Messaggero Siri lancia un messaggio a Tria
Dalle colonne del Messaggero, il sottosegretario alle infrastrutture e consigliere economico di Matteo Salvini, Armando Siri, insiste nel corso di un’intervista nel dire che “nel Def va inserita subito la flat tax” e che “il Tesoro deve aver il coraggio di farlo, non è il momento di avere timidezze o paure” facendo sentire al ministro Tria il fiato sul collo della Lega sul tema. “Ma è il momento della visione”. Che resta appunto la flat tax e il progetto “che abbiamo sottoposto al ministro – racconta al quotidiano della capitale Siri – prevede un’aliquota unica al 15% per i redditi familiari fino s 50 mila euro e deduzioni fisse per garantire la progressività dell’imposta. (…) Ho ragione di credere che nella prossima legge di bilancio diventerà realtà”.
Il Corriere a Cernobbio racconta il malumore delle imprese
Ma stando alla lettura che ne da Federico Fubini sul Corriere, sulla manovra le imprese cono “contro il governo” tanto che “otto su dieci lo bocciano”. Inviato a Cernobbio al Forum Ambrosetti, il giornalista scrive che “forse mai in passato si era consumato un divorzio così radicale fra le percezioni politiche dell’uno per cento e quelle del 99 per cento. Le persone dai redditi più alti e gli altri 59 milioni di italiani sono ormai così distanti nella lettura della realtà, che quando ne parlano sembrano descrivere due Paesi diversi. Da un lato c’è quello degli uomini vestiti di giacche e cravatte di qualità — grandi manager e imprenditori sono ancora quasi sempre maschi — dall’altro gli italiani comuni.
Nel mezzo, un governo «sovranista» che nei due gruppi sta producendo reazioni opposte”. “Ma quando ieri alla platea del Forum è stato chiesto di esprimere un voto digitale anonimo ‘sull’operato del governo’ – si legge ancora – la risposta è stata univoca come di rado capita in questi casi. Il 40,2% ha dato un giudizio «negativo» e altrettanti ne hanno dato uno «molto negativo». Nel complesso oltre otto top manager e imprenditori su dieci sono convinti che l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte stia lavorando male. I voti positivi sono stati appena il 3,9%, quando invece un anno fa il 53% aveva espresso un giudizio positivo sull’operato del governo, allora in uscita, di Paolo Gentiloni”.
Sulle stesse colonne del quotidiano di via Solferino, nell’intervista al viceministro dell’Economia leghista Massimo Garavaglia, il giornalista fa osservare i malumori della platea Ambrosetti perché “dicono che la manovra del cambiamento non funzioni”. “Aspettiamo a dirlo. Abbiamo indicazioni positive che ci fanno ben sperare”. Risponde Garavaglia. Sollecitato a indicarne almeno una, il viceministro risponde: “Gliene dico cinque. La flat tax funziona: nel primo mese il numero delle partite Iva è salito del 5%. La spesa per investimenti delle Regioni, cui abbiamo liberat o 2,5 miliardi di euro, è salita dell’84%. Quella delle Province per le scuole e le strade, che sono in condizioni pietose, è aumentata del 6%. Ai piccoli Comuni abbiamo dato a gennaio 400 milioni e li hanno già spesi”. E la quinta? “L’Iva sugli scambi interni. Il gettito è cresciuto in due mesi di 900 milioni, e questo non è certo l’effetto della fattura elettronica, che semmai è contrario” risponde Garavaglia.
“Niente manovra correttiva, allora? “Nessuno ce la chiede – dice sicuro Garavaglia al Corriere -. Aggiorneremo il quadro dei numeri, allineandoci alle previsioni internazionali sui tendenziali di crescita dell’economia, inferiori a quelli che si ipotizzavano pochi mesi fa. E stabiliremo un obiettivo pro – grammatico realistico, considerando l’impatto positivo dei provvedimenti presi. Pe r inciso ricordo che la crescita media in Italia dal 2000 in qua è stata dello 0,2%. Non ci vuole molto a fare megli”. Dicendosi altrettanto sicuro che la flat tax estesa alle famiglie “ci sarà”. La palla passa ora al ministro Tria.
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