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Il buco nero dei conti di Roma Capitale

Vecchi debiti, aziende a rischio di fallimento, bilanci che non si chiudono, inchieste della magistratura. Le molte incognite dei conti di Roma Capitale pesano dall’inizio di maggio sulle spalle di una 50enne toscana di nome Anna Guiducci.

Era responsabile delle finanze del Comune di Arezzo quando ha ottenuto a sorpresa (con un “comando” di un anno, ovvero senza dimettersi dall’amministrazione di provenienza) l’incarico di ragioniere generale del Campidoglio. Un posto di grande responsabilità, ben retribuito (130 mila euro lordi l’anno) e da sempre molto ambito. Almeno fino a qualche tempo fa. Prima di lei lo occupava, dal 2017, l’ex responsabile delle finanze di Rimini Marcello Botteghi, che alla fine dell’anno scorso ha deciso di tornarsene a casa.

Con tutto il rispetto per le competenze maturate nelle amministrazioni di provincia, come mai una carica di tale importanza per la Capitale va per la seconda volta a un dirigente di un Comune di piccola taglia? Il fatto è che di persone disposte a prendersi questa croce se ne trovano sempre meno. Non per niente la scelta è stata fatta dopo un interpello fra dirigenti interni in cui non si è presentato nessuno. Alla precarietà finanziaria del Campidoglio i romani e i loro amministratori hanno fatto il callo da tempo, ma le nubi che si addensano ora all’orizzonte sono un’altra cosa rispetto al passato.

LA SCURE DEL DEBITO MONSTRE

Anzitutto c’è il problema gigantesco del debito straordinario (12,1 miliardi) scorporato nel 2010 dai conti del Comune e affidato a una gestione commissariale che nella prima bozza del decreto Crescita di poche settimane fa si era previsto di chiudere entro il 2021 per passare il debito direttamente allo Stato. Le polemiche fra Lega e 5 stelle sul salva Roma hanno oscurato il motivo della scelta, in realtà piuttosto semplice: fin dall’inizio le risorse della gestione commissariale, provenienti dal contributo statale (300 milioni l’anno garantiti fino al 2040) e dall’addizionale Irpef dei romani (200 milioni) erano insufficienti a pagare le rate. Da qui la necessità per l’allora commissario Massimo Varazzani di coprire la differenza con un’anticipazione di cassa che si va esaurendo. Fra un paio d’anni, quando le entrate non basteranno più, la palla tornerà al Comune. Ecco lo scenario da incubo approntato per i futuri amministratori di Roma da Matteo Salvini con lo stop alla prima versione del decreto.

IL NODO ATAC

A questa incognita storica si aggiungono le partite romane attuali. L’Atac, l’azienda di trasporto pubblico peggiore d’Italia (che nel 2017 ha perso 120 milioni: più di tutte le altre messe insieme) ha ottenuto a gennaio scorso il sì dei creditori a un concordato preventivo che prevede il pagamento di 150 milioni nel 2020 (nell’ipotesi che l’omologazione sia rilasciata, come previsto, nelle prossime settimane) e 194 divisi in parti uguali fra il 2021 e il 2022. Prendendoli da dove? Dai ricavi aggiuntivi derivanti dall’aumento dei chilometri percorsi e al miglioramento del servizio. Gli ultimi comunicati aziendali parlano di ricavi da biglietti in aumento del 4,5% (per quasi 4 milioni) nei primi quattro mesi del 2019. Difficile che bastino a rispettare gli impegni. Inoltre le incredibili vicende del blocco delle fermate centrali della metropolitana e del noleggio dei 70 autobus euro 5 anziché euro 6, parlano da sole. Che cosa avverrà fra un anno in caso di caso di non conseguimento dei risultati promessi al tribunale e ai creditori?

La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti suscitano allarme per i cassonetti che traboccano e i conseguenti rischi igienici, ma gli aspetti finanziari non sono da meno. L’ultimo bilancio dell’Ama approvato dal Comune risale al 2016. Quello dell’anno successivo ancora non si vede, a causa dello scontro clamoroso fra Virginia Raggi e l’allora amministratore delegato Lorenzo Bagnacani, che ha messo in moto una raffica di avvisi di garanzia fra cui uno (presunto) anche per l’ex ragioniere generale Botteghi. La sindaca ha sempre affermato che la richiesta di modifica del bilancio rivolta all’ad era in nome della correttezza. Ma allora perché il rendiconto del 2017 è ancora in attesa della firma? Anche questa grana finirà sul tavolo della nuova responsabile dei conti capitolini.

I BILANCI NON APPROVATI: DA ROMA METROPOLITANE A FARMACAP

La mancata approvazione dei bilanci è per altro un andazzo diffuso nelle aziende di proprietà del Comune. A Roma Metropolitane, dove i dipendenti sono in rivolta per l’arrivo di 45 licenziamenti, l’ultimo con il timbro del Campidoglio è del 2014. A Farmacap (farmacie), addirittura del 2012, ed è di pochi giorni fa la notizia che i ritardi nei pagamenti del Comune rendono dura anche la presentazione dei bilanci dello zoo. Del resto, c’è chi fa notare che la stessa approvazione del bilancio 2018 di Roma Capitale da parte dell’Organo di revisione economico finanziaria (Oref) è arrivata con una serie tale di raccomandazioni da farla assomigliare molto a una bocciatura. Di fronte a difficoltà del genere aiuterebbe un forte spirito di collaborazione. Peccato che su questo terreno la Giunta sia messa anche peggio che sui conti: in tre anni di vita ha cambiato sette assessori, cinque dirigenti apicali e sei fra amministratori e presidenti di aziende partecipate dal Comune. Tutti accolti all’inizio con lodi sperticate e andati via quasi sempre fra polemiche feroci, alcuni addirittura incolpati dei fallimenti dell’amministrazione. Difficile dar torto a chi preferisce tenersene alla larga.

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