Secondo un’analisi di Coldiretti, l’Italia è seconda produttrice mondiale di olio, dietro la Spagna. “Ma il Belpaese può contare sul primato qualitativo di 47 olii a marchio Dop/Igp”
Crescita record dei consumi mondiali di olio d’oliva, che hanno fatto un balzo di quasi il 49% negli ultimi 25 anni cambiando la dieta dei cittadini in molti Paesi, dal Giappone al Brasile, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna alla Germania, sulla scia del successo della Dieta Mediterranea dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti presentata in occasione della presentazione del più grande contratto di filiera di sempre per l’olio Made in Italy (quantitativo di 10 milioni di chili, valore di oltre 50 milioni di euro), sottoscritto da Coldiretti, Unaprol, Federolio e FAI S.p.A. (Filiera Agricola Italiana), con il coinvolgimento delle principali aziende italiane di confezionamento, da Farchioni a Monini, da Coricelli a Castel del Chianti e molti altri.
“L’Italia è il secondo produttore mondiale dopo la Spagna ma che può contare sul primato qualitativo con 47 olii Dop/Igp riconosciuti dall’Unione Europea e 533 diverse varietà di olive nei 250 milioni di ulivi presenti sul territorio nazionale” ha affermato Coldiretti nel sottolineare che “in Italia 9 famiglie su 10 consumano olio d’oliva tutti i giorni secondo uno stile alimentare fondato sulla dieta mediterranea che ha consentito al Belpaese di conquistare primati mondiali di longevità: tanto che la speranza di vita degli italiani è salita a 82,8 anni, 85 per le donne e 80,6 per gli uomini”.
Nel mondo sono stati consumati nel 2017 complessivamente 2,95 miliardi di chili, la metà dei quali nei Paesi dell’Unione Europea con la vetta della classifica conquistata dall’Italia con 557 milioni di chili, seguita dalla Spagna con 470 milioni di chili. Ma sul podio – sottolinea la Coldiretti – salgono a sorpresa anche gli Stati Uniti con un consumo di ben 315 milioni di chili, quasi triplicati (+174%) rispetto a 25 anni fa. A sostenere la domanda mondiale – continua la Coldiretti – sono certamente gli effetti positivi sulla salute associati al consumo di olio di oliva provati da numerosi studi scientifici che hanno fatto impennare le richieste di quel segmento di popolazione che nel mondo è attento alla qualità della propria alimentazione.
Ma la crescita dell’olio d’oliva sulle tavole di tutto il mondo – continua la Coldiretti – si è sviluppata in modo vorticoso nell’ambito di una generazione anche in altri importanti Paesi, a partire dal Giappone, dove i consumi sono aumentati di 8 volte raggiungendo i 55 milioni di chili, mentre in Gran Bretagna si è registrata una crescita del 247,6% fino a 58,4 milioni di chili e in Germania l’incremento è stato del 359,7% fino ai 61,6 milioni di chili. Una rivoluzione nella dieta delle famiglie si è verificata anche in Paesi come il Brasile, dove l’aumento è stato del 313% per un totale di 60 milioni di chili, la Russia con una crescita del 233% (anche se le quantità restano limitate a 20 milioni di chili), il Canada con 39,5 milioni di chili e un incremento del 229% e la Francia, che con un progresso del 154%, ha superato i 111 milioni di chili.
In Italia lo scorso anno sono stati prodotti 429 milioni di chili di olio a fronte di un volume di importazione che ha superato i 500 milioni, ben i 2/3 sono arrivati dalla Spagna che è anche il primo produttore mondiale con un miliardo di chili. A pesare è ora anche l’ondata di maltempo del 2018 con almeno 25 milioni di piante di ulivo danneggiate dalla Puglia all’Umbria, dall’Abruzzo sino al Lazio con danni fino al 60% in alcune zone particolarmente vocate e la richiesta di rifinanziamento del piano olivicolo nazionale (Pon) da parte dell’Unaprol. Una esigenza per recuperare il deficit italiano con il piano che prevede di aumentare nei prossimi 4 anni la superficie coltivata da poco più di un milione di ettari a 1,8 milioni di ettari, anche con l’aumento delle aree irrigue con tecniche innovative di risparmio idrico. Si tratta di potenziare una filiera che coinvolge in Italia oltre 400 mila aziende agricole specializzate con una produzione localizzata per metà in Puglia e a seguire in Calabria e Sicilia, mentre Campania, Lazio e Toscana rappresentano ciascuna una fetta fra il 4% e il 5% dell’offerta nazionale, anche se aree olivicole si trovano anche in altre parti della penisola come Veneto, Umbria, Molise e Lombardia che vanta anche gli uliveti più a nord d’Italia in Valtellina (Sondrio).
Ci sono dunque le condizioni per crescere e conquistare i mercati, ma sotto accusa è il rischio evidente che olio straniero venga “spacciato” come italiano. Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati, infatti, è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte ‘miscele di oli di oliva comunitari’, ‘miscele di oli di oliva non comunitari’ o ‘miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari’, obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva. La scritta, fa notare la Coldiretti, è riportata in caratteri molto piccoli, posti dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione sull’etichetta che la rende difficilmente visibile. La situazione è ancora più preoccupante al ristorante dove in quasi 1 caso su 4 (22%), secondo l’indagine Coldiretti/Censis, ci sono oliere fuorilegge che non rispettano l’obbligo del tappo antirabbocco entrato in vigore da anni.
Il consiglio della Coldiretti è dunque quello di guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100% da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori olivicoli, nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica, dove è possibile assaggiare l’olio EVO prima di comprarlo e riconoscerne le caratteristiche positive. Un olio extravergine di oliva (EVO) di qualità – conclude la Coldiretti – deve essere profumato all’esame olfattivo deve ricordare l’erba tagliata, sentori vegetali e all’esame gustativo deve presentarsi con sentori di amaro e piccante. Gli oli di bassa qualità, invece, puzzano di aceto o di rancido e all’esame gustativo sono grassi e untuosi. Riconoscere gli oli EVO di qualità significa acquistare oli ricchi di sostanze polifenoliche antiossidanti fondamentali per la salute.