Per uno Stato introdurre una moneta parallela significa essere in una profonda crisi economica e politica. Il caso più recente è quello dello Zimbabwe. Quindi atti o parole da parte dei politici che possano produrre un tale rischio sono imprudenti. Nel nostro Paese ne sono stati già compiuti due.
Il primo è l’erogazione del reddito di cittadinanza tramite strumenti di pagamento. Il secondo è la mozione parlamentare sui cosidetti mini-bot. Sarebbe saggio fermarsi.
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Breve ripasso su cosa è la moneta in un Paese normale. Lo sviluppo regolare e quotidiano della vita produttiva e commerciale ha come condizione necessaria la fiducia dei cittadini nella moneta. I cittadini domandano moneta per tre ragioni diverse, tra loro intrecciate, legate al fatto che quel mezzo di pagamento: sia accettato; non perda di valore; tuteli la privacy. Sempre in un Paese normale la moneta può essere prodotta da due diversi soggetti: lo Stato o i privati. La moneta pubblica è prodotta dalla banca centrale, la moneta privata di solito dalle banche. Non solo: la moneta privata è accettata anche perché in ogni momento può essere trasformata in moneta pubblica. Ultimo passaggio: in un Paese che sia al contempo normale e avanzato, dagli anni 80 in avanti è scontato che la banca centrale sia indipendente dalla politica, perché tutta l’analisi economica e storica ha dimostrato che quando il politico – una volta era il principe, ora sono gli eletti dal popolo – ha il controllo della creazione di moneta combina guai.
Il ripasso aiuta a ricordare perché nell’Unione europea la moneta pubblica può essere creata solo dalla Banca centrale europea (Bce), a garanzia dei cittadini europei. Quindi la domanda di moneta dei cittadini viene soddisfatta da una offerta mista – moneta pubblica e privata – in cui la pubblica è la leva indispensabile perché anche la privata venga accettata. A livello macroeconomico, monete private senza alcuna àncora pubblica non sono rilevanti, in quanto fenomeni embrionali, o circoscritti.
Quando invece un Paese è in crisi, la sua moneta pubblica tende a non essere più accettata, innescando a catena disordine e incertezza negli scambi quotidiani. In quei casi, una soluzione è quella di provare a sostituire la moneta pubblica nazionale con una moneta pubblica estera, più credibile. Si parla di “dollarizzazione”, o anche di “eurizzazione”. La dollarizzazione dà al Paese che la adotta il vantaggio atteso per i cittadini di avere una moneta pubblica credibile, e il costo atteso per i politici locali di non poterla manipolare; è la condizione del suo successo, e dipende proprio dalla distanza di braccio dai politici locali.
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Se però il politico locale vuole provare a far circolare una sua moneta, anche se il Paese è dollarizzato, ecco che nascono le monete parallele. Il politico produce delle sue passività che cerca di far utilizzare ai suoi cittadini, incentivandolo o obbligandolo. Ma è una moneta di serie B. Alla prima prima crisi di fiducia, l’utilizzo e il valore della moneta parallela crollerà, provocando inefficienze e iniquità.
Prendiamo lo Zimbabwe. Dal 2008 è una economia dollarizzata. Dal 2016 lo Stato fa circolare delle proprie bond note – formalmente garantite da riserve ufficiali in dollari – che dovrebbero essere utilizzate come moneta, inizialmente con un valore nominale 1 a 1 con il dollaro. Purtroppo per i cittadini, l’uso e il valore della moneta parallela pubblica è stato tutto fuorché regolare e stabile, con vere e proprie paralisi quando vi sono state crisi di fiducia generalizzate; l’ultima è dello scorso gennaio. A febbraio è seguito l’annuncio che l’insostenibile cambio 1 a 1 con il dollaro verrà abbandonato; il cambio di mercato è 4 a 1. La causa della crisi? Pare essere un eccesso di produzione elettronica di bond note da parte del governo. Saremmo alla solita storia: se il politico controlla la Zecca, ne abusa.
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Giocare con le monete parallele è scherzare con il fuoco. In Italia due recenti fatti hanno fatto pensare alla moneta parallela. Il primo è che il governo ha introdotto il reddito di cittadinanza, erogato attraverso carte di pagamento prepagate, con la possibilità di comprare direttamente beni e servizi e prelevare contanti. In linea di principio, quanto più la domanda di moneta del cittadino viene soddisfatta con passività pubbliche che sono mezzo di pagamento, tanto più tale circostanza può essere percepita come una violazione del principio per cui la moneta pubblica è interamente sotto il controllo di una banca centrale indipendente. Siamo sul crinale tra debito e moneta. Il secondo fatto è l’oramai famosa mozione che ipotizzava l’emissione di titoli del debito, standardizzati su piccoli importi, senza rendimento né scadenza, pagabili dallo Stato ai propri creditori. L’utilizzo di tali passività pubbliche come mezzo di pagamento disegnerebbe di nuovo una fattispecie che è sul crinale tra debito e moneta. Ma – come ha ricordato Draghi – su quel crinale in Europa non si può essere. O si è dentro o si è fuori. Le monete parallele rischiano di essere giuochi da apprendisti stregoni, di cui alla fine pagano le spese i comuni cittadini.
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