Parte oggi la missione del ministro all’Economia Giovanni Tria in Cina, paese sempre più presente nei gruppi industriali grandi e piccoli del nostro Paese. Tra le partecipazioni dei cinesi, anche un 5% della società Autostrade per l’Italia
È iniziata la missione in terra cinese del governo e a guidarla è il Ministro all’Economia Giovanni Tria, atterrato quest’oggi a Pechino per quella che è la sua prima spedizione al di fuori dell’Unione Europea. Il ministro, accompagnato da una delegazione composta dal vicedirettore generale di Banca d’Italia, Fabio Panetta, l’amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti, Fabrizio Palermo, e l’amministratore delegato di Snam, Marco Alverà, ha rilasciato un’intervista al quotidiano cinese Guangming parlando degli obiettivi del viaggio: “Nel 2020 celebreremo il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina. Questa ricorrenza segna il percorso per rafforzare la partnership tra i due Paesi, attraverso una cooperazione più approfondita in settori chiave. Sono certo che la capacità imprenditoriale italiana potrà trovare facilmente punti di incontro con le priorità strategiche definite dalla autorità cinesi”.
E se lo stato di salute dei rapporti commerciali tra i due paesi è ottimo, certificato da una crescita degli interscambi nel solo 2017 di oltre il 9%, per un volume d’affari di 42 miliardi di euro, si può dire che l’interesse della Cina in particolare per le aziende italiane è più vivo che mai. Certamente, da questo punto di vista, la popolarità del calcio ha contribuito a rendere più evidente la presenza degli investitori cinesi nel Belpaese, grazie al grande impatto mediatico generato dall’acquisizione nel 2016 da parte del gruppo Suning del 68,55% delle quote societarie dell’Inter.
Ma il pallone è solo la punta dell’iceberg degli interessi cinesi in Italia, dove il picco degli investimenti si è registrato tra il 2014 e il 2015, quandoil gigante della chimica cinese, China National Chemical, ha acquisito una quota di controllo in Pirelli per 7,3 miliardi di euro, ad oggi l’operazione di acquisizione più nota di un gruppo italiano da parte di un’azienda statale cinese. Negli ultimi anni la Cina ha investito in gruppi industriali strategici del nostro Paese, come Fca, Telecom Italia, Enel, Generali e Terna, ma anche in realtà aziendali “minori”: per citare i casi più importanti, l’investimento da 400 milioni di euro di Shanghai Electric in Ansaldo Energia e l’acquisizione del 35% di Cdp Reti da parte del colosso dell’energia elettrica di Pechino, China State Grid, per un valore complessivo di 2,81 miliardi di euro. Interessati dalle mire cinesi sono stati anche i gruppi dell’agroalimentare, come il brand Filippo Berio, controllato da Salov, in cui il gruppo cinese Bright Food ha acquisito una quota di maggioranza; o quelli della moda, con il passaggio di Krizia al gruppo di Shenzhen, Marisfrolg. Tra gli investimenti più recenti, da ricordare, a fine 2017, l’acquisizione del gruppo del biomedicale, Esaote, da parte di un consorzio nel quale figura anche Yufeng Capital, co-fondato dal patron di Alibaba, il gigante dell’e-commerce cinese, Jack Ma.
L’aumento dell’interesse della Cina verso l’Italia, d’altra parte, non è un mistero: secondo uno studio pubblicato a inizio 2017 dal Mercator Institute for China Studies di Berlino e dal gruppo di consulenza Rhodium Group, tra il 2000 e il 2016 l’Italia è stata al terzo posto, tra i Paesi dell’Unione Europea, per le destinazioni degli investimenti cinesi, a quota 12,8 miliardi di euro. Hanno fatto meglio solo la Gran Bretagna, a quota 23,6 miliardi di euro, e la Germania, in seconda posizione, a quota 18,8 miliardi di euro. L’Italia ha surclassato anche la Francia, ferma a quota 11,4 miliardi di euro. Il trend è mutato proprio alla fine del 2016, quando il governo cinese ha dato un taglio allo shopping sfrenato dei gruppi all’estero, per concentrare le attenzioni sui progetti di sviluppo industriale e su quelli che rientrano nell’iniziativa di sviluppo infrastrutturale “Belt and Road” tra Asia, Europa e Africa, lanciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013.
Ma nella missione a Pechino del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ci sarebbe anche un tema spinoso, quella quota del 5% di Autostrade per l’Italia detenuta da Silk Road Fund, uno dei bracci finanziari della Belt and Road, secondo azionista della società dopo Atlantia. Una missione non semplice, dunque, per il ministro che dovrà confrontarsi con i cinesi sull’ormai nota volontà espressa dal governo 5 Stelle-Lega di revocare la concessione alla società che ha attualmente in gestione le tratte autostradali.