AGI
Marco Trombetti
Prima che in Italia si cominciasse a parlare di startup, almeno nel senso in cui lo intendiamo noi oggi, Marco Trombetti a Roma ha co-fondato Translated, un servizio di traduzione digitale per aiutare i professionisti. Era il 1999. Poi Trombetti di aziende ne ha fatte altre, le ha portate al successo internazionale insieme ai suoi cofounder (Isabelle Andrieu e Gianluca Granero), fino alla decisione di usare i profitti delle sue avventure imprenditoriali per fondare sempre a Roma, nel quartiere Eur, Pi Campus, un fondo per aiutare altri imprenditori a fondare aziende come lui ha fatto.
A 20 anni esatti dalla sua prima esperienza imprenditoriale ha deciso di scrivere un libro. Non un normale libro sulle startup, ma una specie di percorso, professionale e motivazionale, diviso in 12 saggi brevi. Metà sono tecnici, metà riguardano sentimenti, atmosfere, ma anche solo la mentalità che ritiene necessaria per fare impresa. “Quello che ho scritto nel libro è quello che ho imparato soprattutto negli ultimi 5 anni. Sono le cose che avrei voluto leggere quando ho cominciato a fare impresa. Sono un po’ i consigli che dò ai giovani imprenditori quando me li chiedono”. Il titolo richiama Macchiavelli: “Il nuovo Principe. Perché e come fare startup”. Ma non solo.
Perché un libro sulle startup dopo 20 anni di startup?
“Perché in tutti questi anni ho continuato a ripetere dei concetti a chi voleva fare startup. Col tempo mi sono accorto che erano imprecisi e gli ho migliorati, essere imprecisi quando qualcuno viene a chiederti dei consigli, o magari un investimento, può essere un danno enorme. Ho affinato le mie conoscenze, i concetti che volevo esprimere. E ho deciso di mettere tutto per iscritto, per me stesso prima di tutto. Quando si incontra un founder per un pitch (la presentazione di un progetto di impresa ad un potenziale investitore, ndr), sono momenti brevi, incontri brevi, e devi essere molto preciso. Tu sei il loro advisor e loro da te si aspettano molto. E poi certe cose le ho capite tardi, ci sono cose che oggi so che 20 anni fa non sapevo. Sono molte delle cose che ho imparato negli ultimi 5 anni, e sono le cose che quando ho cominciare a fare l’imprenditore avrei voluto sapere”.
Per scrivere di startup citi Macchiavelli, almeno nel titolo.
“Ha un senso, sono 12 saggi brevi, 6 sulle tecniche per fare startup e come presentarla ad un investitore, 6 invece sono motivazionali. I primi sei sono sul come fare startup, e nel titolo il richiamo è a Macchiavelli. Ma il principe non è solo il suo. Gli altri sei richiamano il mondo dell’affettività, e il modello è il Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry”.
Partiamo dalla risposta alla domanda che ti poni nel libro: perché fare startup?
“Non è tanto perché fare startup. Ma perché fare delle cose e come farle bene. Alla fine noi dobbiamo costruire delle cose, il futuro, e creare delle imprese è un modo per creare un futuro migliore. Il libro ruota intorno all’idea che qualsiasi cosa tu voglia fare da grande, devi sempre dare di più di quello che prendi. Sembra controintuitivo ma non lo è. Per creare qualcosa dobbiamo dare di più di quello che otteniamo. È un po’ come il salvadanaio, cresce se gli dai di più di quello che prendi da lui. Solo così riusciamo a fare qualcosa di importante”.
Dici che fare startup è il modo migliore per costruire un futuro migliore, eppure rispetto a qualche anno fa intorno vediamo l’innovazione con molto più scetticismo. Gli scandali legati alla privacy, come quello di Facebook, hanno determinato un cambio netto di atteggiamento verso questo settore.
“Nel libro provo a spiegare che ci sono due modi di creare valore. Si può creare valore anche dalla pigrizia, dall’avidità, da cose che non danno alcun valore aggiunto alla società in cui si vive. I social danno dipendenza, ed è un fatto. Alcune di queste società fanno soldi grazie alle debolezze umane. Non creano un’umanità migliore, ma ne sfruttano i lati negativi. Ma non è solo questa l’innovazione. Internet è stata una rivoluzione per le conoscenze umane, lo smartphone ci ha dato accesso immediato ad un patrimonio informativo infinito, lo stesso Google è uno strumento che ha permesso a molti di accrescere le proprie conoscenze. Tutti questi strumenti sono ciclici. Un domani non ci saranno più i social che oggi conosciamo, e forse non ci sarà nemmeno più Google per come la conosciamo. Quello che è importante è creare qualcosa che renda il futuro migliore”.
Colpisce la parte in cui dici che chi fa startup ‘deve’ vivere nel futuro. Ce lo spieghi meglio?
“Il concetto di futuro è relativo. Il mondo va a velocità diverse. Ci sono persone che per il lavoro che fanno sono già esposte a quello che succederà al mondo anni dopo. Essere vicini a un centro di ricerca è quello che ti permette di vederlo. Jobs e Wozniak (i cofondatori di Apple, ndr) erano imprenditori, ma vivevano vicini a centri di ricerca che gli hanno permesso di vivere il futuro. Così oggi quelli che hanno comprato le prime macchine elettriche e hanno abbandonato i motori a combustione. Questo cambiamento succederà, c’è qualcuno che lo ha visto prima di altri, come Musk”.
Cominci con una lettera, a cui non hai mai avuto risposta, inviata a Paul Graham, personaggio semimitico che ha fondato l’acceleratore di impresa americano Y-Combinator. Inizi con un’esperienza negativa.
“L’ho fatto perché ogni cosa che si inizia, qualsiasi cosa, parte dalla motivazione. Non sono uno psicologo, ma ho detto come ha funzionato per me. Il senso di non essere accettato da Paul Graham mi ha motivato a fare qualcosa. Ha funzionato per me. Ognuno può e deve trovare dentro la sua motivazione. Poi ci siamo risentiti, gli ho chiesto aiuto perché volevo diventare la sua voce in Europa, il Paul Graham europeo. Mi ha detto che non poteva aiutarmi perché era lui il Paul Graham europeo. Gli ho chiesto in che senso e mi ha spiegato che ha lasciato la Silicon Valley per trasferirsi a Londra e far crescere lì i suoi figli. Dice di averlo fatto per loro”.
Oggi le startup stanno tornando al centro del l’attenzione politica. Vedi un atteggiamento più maturo nelle policy immaginate dal governo?
“Sono sorpreso positivamente dalla manovra del governo. Era inaspettata. Potenzialmente mette l’Italia nei binari che possono portare l’Italia a competere con gli altri grandi paesi europei, ora speriamo solo che treno parti. Poi, parlando di comunicazione, di up e down ce ne sono sempre stati tanti, ma quello che va guardato è il macrotrend. 4 anni fa si investivano 100 milioni, oggi siamo sopra i 600 e sono pochi i mercati globali che ho visto crescere a questo ritmo. Poi i media e la politica si innamorano di temi a fasi alterne, ma al di là di questo c’è un ecosistema che sta crescendo anche senza i riflettori”.
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