Foto: Freud Dufour / Afp
Xi Jinping
Gli ultimi dati economici provenienti da Pechino non appaiono incoraggianti, con una crescita nel 2018 al 6,6%, ai minimi dal 1990, e incertezze sul fronte globale che la Cina imputa al protezionismo commerciale e all’unilateralismo, ovvero alle politiche degli Stati Uniti di Donald Trump. Le preoccupazioni di Pechino non appaiono infondate per gli analisti, che prevedono un’ulteriore frenata (si parla di una crescita al 6,3% per l’anno in corso) prima di tornare a crescere per effetto degli stimoli all’economia annunciati settimana scorsa, più altri, probabili, in futuro.
La stima non è lontana da quella formulata oggi dal Fondo Monetario Internazionale, che da Davos, dove domani entreranno nel vivo i lavori del World Economic Forum, ha previsto per il 2019 e per il 2020 una crescita della Cina al 6,2% e ha chiesto a Washington e Pechino di impegnarsi a risolvere la disputa commerciale ora in fase di tregua.
Due milioni di nati in meno in un anno
Oltre al rallentamento dell’economia, si è aggiunto un altro dato, forse più preoccupante: quello del rallentamento delle nascite. Nel 2018, in Cina, i nuovi nati sono stati 15,23 milioni, esattamente due milioni in meno rispetto all’anno precedente, e in continua discesa dal dato del 2016, quando erano 17,86 milioni. Il 2016 fu il primo anno senza la politica del figlio unico, la cui abolizione era stata decisa nell’autunno precedente dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, l’organo decisionale del Pcc a base più ampia.
Il dato di oggi è il terzo più basso dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese ed è il più basso dal 1961, quando nacquero 11,87 milioni i bambini e la Cina era colpita dalle carestie provocate dal Grande Balzo in Avanti, il piano economico e sociale voluto da Mao, per la trasformazione del Paese da società rurale a economia socialista industrializzata. Il basso tasso di natalità in Cina preoccupa il governo che stima di avere nel 2030 circa un quarto della popolazione con almeno sessanta anni di età e che lo scorso anno ha visto il numero di cittadini in età lavorativa ridursi di 4,7 milioni di persone, in calo per il settimo anno consecutivo.
Il ‘modello Xi’ sotto processo
Lo scenario, carico di “rischi e opportunità”, secondo quanto ripetuto anche oggi dal direttore dell’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino, Ning Jizhe, si accompagna a dubbi crescenti sul piano politico ed economico per il futuro del Paese, che arrivano a mettere in discussione la stessa leadership. Settimana scorsa, durante un seminario a Pechino ospitato dal think-tank privato di orientamento liberale Hongfan Institute of Legal and Economic Studies, uno dei membri dell’aristocrazia del Pcc, Hu Deping, esponente di punta dell’ala liberale, aveva lanciato l’avvertimento contro l’eccessiva centralizzazione della leadership, che a suo dire farebbe correre alla Cina il rischio di fare la fine dell’Unione Sovietica.
“Uno degli errori fatali” commessi dall’Unione Sovietica, aveva detto Hu, in frasi riprese dal South China Morning Post, “fu che seguì un sistema politico altamente centralizzato. Un altro fu il rigido sistema economico. Pur avendo lo stesso simbolo, non tutti i Paesi socialisti devono praticare l’economia pianificata”. Hu Deping è il figlio dell’ex segretario generale del Pcc, Hu Yoabang, la cui morte, il 15 aprile 1989, è stata la scintilla che ha fatto scoppiare le manifestazioni pro-democratiche di piazza Tian’anmen, culminate con la repressione nel sangue da parte dell’esercito, il 4 giugno successivo.
Gli slogan non bastano
Un altro avvertimento, sul versante economico, era stato pronunciato dall’economista Wu Jinglian, nei confronti di quello che ha definito come “capitalismo di Stato”. Il controllo dello Stato sull’economia, aveva detto in un video-messaggio, potrebbe portare a fenomeni di corruzione e “non è in linea con le nostre riforme. Abbiamo chiarito che perseguiremo un’economia di mercato, piuttosto che il controllo statale dell’economia nazionale”. Per raggiungere i nostri obiettivi, aveva aggiunto in un riferimento chiaramente diretto all’enfasi posta dal presidente cinese, Xi Jinping, sulle aperture del sistema, “non basterà intonare i due slogan ‘riforme e aperture’.
Molte questioni dettagliate devono essere analizzate e ci sono lezioni che dobbiamo imparare”. I malumori nell’élite del partito erano cominciati già da quest’estate, quando avevano cominciato a levarsi voci che criticavano la gestione delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti e, successivamente, l’atteggiamento di Pechino in economia e in politica estera, giudicato troppo assertivo da Deng Pufang, figlio di un altro leader del passato, l’architetto delle riforme economiche cinesi, Deng Xiaoping. Le incertezze a livello internazionale “sono in crescita”, aveva detto Deng, e “la cosa più importante al momento è affrontare in modo appropriato le questioni della Cina”.
Le critiche sembrano non risparmiare neppure l’aspetto demografico. A fare sentire la propria voce, oggi, ai microfoni dell’agenzia Bloomberg, è stato il demografo He Yafu, dopo la pubblicazione del dato di nuovi nati nel 2018. “La Cina non dovrebbe solo rilassare pienamente la politica di pianificazione familiare”, ha detto, “ma introdurre politiche per incoraggiare le nascite”, per evitare effetti negativi sull’economia da un basso tasso di natalità.
La soluzione, in questo caso, potrebbe essere l’abolizione completa della pianificazione familiare, terminando di fatto ogni tipo di limite al numero di figli che una coppia può avere. L’ipotesi sarebbe già in fase di studio, all’interno di una revisione del codice civile e la proposta di eliminare completamente la pianificazione familiare sarebbe stata esaminata lo scorso anno dallo stesso primo ministro cinese, Li Keqiang. Anche questo, però potrebbe non bastare, è c’è chi prevede che per assistere a un rialzo nel numero dei nuovi nati ogni anno si renderanno necessari incentivi e sgravi fiscali. Per He Yafu, però, il problema è più profondo e di difficile soluzione. “Mentre il numero di donne in età fertile è destinato a calare negli anni a venire, per una minore volontà di avere figli, la Cina continuerà ad avere un calo delle nascite”.
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