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Istat: dopo 9 anni stipendi aumentano, spinta statali

L’ANNUARIO

Se gli stipendi riprendono a crescere, non si arresta invece la “fuga dei cervelli” dall’Italia: «Sempre più dottori di ricerca decidono di lasciare il nostro Paese»

30 dicembre 2019


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Nel 2018 gli stipendi sono tornati a salire. Una crescita che mancava da quasi un decennio. Lo rileva l’Istat nell’Annuario. «Dopo una fase di decelerazione che perdurava da nove anni – si legge nell’indagine -, le retribuzioni contrattuali orarie nel totale economia sono tornate ad aumentare (+1,5%). Tale variazione è stata determinata per più di due terzi dai miglioramenti economici intervenuti nell’anno. Il contributo maggiore – continua l’ente statistico – è derivato dagli aumenti retributivi previsti per la quasi totalità dei dipendenti pubblici (+2,6%) dopo il blocco contrattuale che si protraeva dal 2010».

Se gli stipendi riprendono a crescere, non si arresta invece la “fuga dei cervelli” dall’Italia: «sempre più dottori di ricerca decidono di lasciare il nostro Paese: il 15,9% dei dottori del 2012 e il 18,5% dei dottori del 2014 dichiara di vivere abitualmente all’estero; tali percentuali sono superiori di 4,3 punti a quelle rilevate nella precedente indagine».

Disuguaglianze reddito più forti in città ricche
Secondo l’Istat, più la città è ricca maggiori sono le disuguaglianze. In questo caso l’analisi dei dati si ferma al 2017. «All’aumentare del reddito familiare, si acuiscono anche le disuguaglianze: i comuni centro area metropolitana registrano sia il più alto reddito netto medio familiare sia il più alto rapporto di disuguaglianza. Andamento opposto – continua il report – per i comuni fino a 50 mila abitanti che si caratterizzano per avere il reddito più basso accompagnato dalla disuguaglianza dei redditi più bassa». Relazione opposta a quella che si registra invece su base regionale: «nel Nord-est, caratterizzato dal reddito netto medio familiare più elevato (41.019 euro a fronte di 36.293 euro dei residenti in Italia), si osserva – viene spiegato – una disuguaglianza dei redditi più bassa rispetto alle altre aree».

Minimo storico nascite, Paese tra più vecchi
Nell’Annuario statistico sono contenute anche indicazioni di carattere demografico. «Nel 2018 continua il calo delle nascite: i nati vivi, che nel 2017 erano 458.151, nel 2018 passano a 439.747, nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia». Sempre nel 2018, sottolinea l’Istat, «il numero dei decessi diminuisce e raggiunge le 633.133 unità». La speranza di vita media alla nascita «riprende ad aumentare attestandosi su 80,8 anni per i maschi e 85,2 per le femmine nel 2018». Tutto ciò rende «l’Italia uno dei Paesi più vecchi al mondo, con 173,1 persone con 65 anni e oltre ogni cento persone con meno di 15 anni al primo gennaio 2019».

Famiglie sempre più piccole, 33% è single
«Le famiglie, 25 milioni e 700 mila, sono sempre più numerose e sempre più piccole». «Il numero medio di componenti – spiega l’Istat – è passato da 2,7 (media 1997-1998) a 2,3 (media 2017-2018), soprattutto per l’aumento delle famiglie unipersonali che in vent’anni sono cresciute di oltre 10 punti: dal 21,5% nel 1997-98 al 33,0% nel 2017-2018, ovvero un terzo del totale delle famiglie».

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