L’economia italiana non crescerà nel 2019 e metterà a segno “un esiguo” +0,4% nel 2020. L’allarme arriva da Confindustria, che parla di un “alto rischio di recessione” che solo l’export può scongiurare. Una “crescita zero” quella del 2019, spiega Andrea Montanino, direttore del Centro studi degli industriali (Csc), data da numerosi fattori interni e da un contesto esterno comunque non favorevole.
La manovra sotto accusa
Gli esperti di via dell’Astronomia rivedono al ribasso la crescita del Pil di 0,9 punti (rispetto alle stime di ottobre a +0,9%) e sottolineano che il rischio recessione è “alto” perché nel 2019 “la domanda interna risulterà praticamente ferma e una recessione potrà essere evitata solo grazie all’espansione, non brillante, della domanda estera”. A pesare, secondo Confindustria, è soprattutto “una manovra di bilancio poco orientata alla crescita”.
Il governo, avvertono gli industriali, “ha ipotecato i conti pubblici” e “non ci sono scelte indolori”. Siamo a “un bivio” – spiegano – tra “rincaro Iva” o “far salire il deficit pubblico al 3,5%”. Per annullare il primo e fare la correzione richiesta sui conti “servirebbero 32 miliardi di euro senza risorse per la crescita”. L’Italia deve evitare di andare oltre il 3% nel rapporto deficit-Pil: “Sarebbe un segnale molto negativo per i mercati – avverte Montanino – il fatto che lo spread non si è richiuso significa che i mercati ci stanno guardando e continuiamo a essere sotto osservazione”.
Per Tria siamo “tra recessione e stagnazione”
Anche Bankitalia appare sulla stessa lunghezza d’onda di Confindustria. Il governatore Ignazio Visco – in occasione di un convegno alla Farnesina col ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi – sottolinea come in Italia si sia registrato un “rallentamento dell’attività economica nell’ultimo scorcio dello scorso anno, proseguito nei primi mesi del 2019”. Nel nostro Paese, afferma Visco, “ai problemi di natura congiunturale si aggiungono quelli strutturali” e “un significativo peggioramento delle condizioni di finanziamento del debito pubblico”.
Tema che affronta anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, dal ‘Boao Forum for Asia’ a Haikou, in Cina, da dove ribadisce: “Dobbiamo aumentare il nostro tasso di crescita e intraprendere un percorso di riduzione del rapporto debito-Pil”. Il deficit “deve essere ridotto, ma riteniamo sia sotto controllo”, anche se la situazione dell’Italia è “tra recessione e stagnazione”. Per Tria, occorre “contrastare il rallentamento globale” per scongiurare un’altra crisi finanziaria e puntare tutto sulla crescita.
La Bce è pronta ad agire, assicura Draghi
Anche Mario Draghi, da Francoforte, allarga il discorso all’Europa, per la cui economia – ammette – i “rischi al ribasso” ci sono. Ma, assicura: “La Bce è pronta ad agire”. Spiega Draghi: “Non siamo a corto di strumenti per adempiere al nostro mandato. L’impegno a realizzare il nostro obiettivo implica anche un’attenzione ai rischi futuri e una prontezza nel rispondervi, se le prospettive di medio termine dovessero continuare a peggiorare significativamente”.
Draghi non si lascia sfuggire un riferimento all’Italia: secondo l’analisi del numero uno della Bce, la domanda interna della zona euro tiene, nonostante il calo di quella esterna, ma sul suo andamento futuro potrebbero pesare alcuni fattori di incertezza, soprattutto in Italia e in Francia. “I driver principali – osserva – sono elementi esterni non collegati all’economia globale, associati a fattori specifici in Paesi come la Francia e l’Italia”.
Tornando all’Italia, anche Prometeia nel suo rapporto di previsione di marzo conferma al ribasso la crescita del Pil 2019 a +0,1% (a dicembre 2018 era +0,5%) e a +0,7% nel 2020. Prometeia esclude l’ipotesi di una manovra correttiva, in parte perché “lo sforamento del disavanzo rispetto agli obiettivi potrà essere giustificato dall’andamento debole del ciclo”, in parte perché la Commissione europea “è in scadenza”.
E il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, rilancia: “Il rallentamento dell’economia costringe a reagire: bisogna passare dal contratto di governo al patto per lo sviluppo e l’occupazione” perché “il rallentamento globale ci impone di fare un salto di qualità”.
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