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Italiani schiacciati dal fisco: 200 miliardi di tasse in più negli ultimi vent’anni

Secondo la Cgia, l’aumento della pressione fiscale dal 1997 a oggi è stato superiore addirittura all’aumento del costo della vita. Ai 41 milioni di italiani contribuenti servono 154 giorni lavorativi per pagare le tasse: peggio di noi solo la Francia

Tasse in crescita di quasi 200 miliardi (198, per la precisione) negli ultimi 20 anni per i 41 milioni di contribuenti italiani. È il calcolo effettuato dall’Ufficio studi della Cgia, che parla di “una cifra da far tremare i polsi e che rende immediatamente l’idea di quanto le richieste dell’erario siano diventate spaventosamente onerose”. E se l’inflazione in questi due decenni è aumentata di quasi 43 punti percentuali, le entrate tributarie sono cresciute di oltre 65 punti, vale a dire il 22,5% in più del costo della vita. Con un’evasione fiscale che ha toccato il 16,3%. 
 

“Come emerge in molti manuali di scienza delle finanze – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – con un carico impositivo smisurato anche l’evasione fiscale assume dimensioni economiche preoccupanti. Secondo una nostra elaborazione, infatti, la media nazionale dell’evasione fiscale è al 16,3%, con punte del 24,7 in Calabria, del 23,4 in Campania e del 22,3% in Sicilia. A livello nazionale stimiamo che le imposte sottratte al fisco siano poco più di 114 miliardi di euro”.

“In linea generale – segnala il segretario della Cgia Renato Mason – in nessun altro Paese d’Europa viene richiesto uno sforzo fiscale come in Italia. La nostra giustizia civile è lentissima, la burocrazia ha raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione rimane la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registra dei ritardi spaventosi: nonostante queste inefficienze, la richiesta del nostro fisco si colloca su livelli elevatissimi e, per tali ragioni, appare del tutto ingiustificata”. 

L’armamentario fiscale italiano è composto da oltre 100 voci: una sequela di addizionali e bolli, dai canoni ai contributi, dai diritti alle imposte per passare alle ritenute. Non mancano, ovviamente, le tasse i tributi e le sovraimposte; senza contare che paghiamo, purtroppo, anche le tasse sulle tasse. L’esempio più clamoroso lo subiamo quando ci rechiamo a fare il pieno alla nostra autovettura: la base imponibile su cui si applica l’Iva è composta anche dalle accise sui carburanti. 

Con un giorno di lavoro in più rispetto al 2018, nel 2016 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 2 giugno (154 giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 9 se, invece, la comparazione è realizzata con la media dei 28 Paesi dell’Unione europea.

Se si confronta il “tax freedom day” italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore a quello italiano (+21); tutti gli altri, invece, hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale con un netto anticipo. In Germania, ad esempio, 7 giorni prima di noi, in Olanda 12, nel Regno Unito 27 e in Spagna 28. Il paese più virtuoso è l’Irlanda: con una pressione fiscale del 23,6 per cento permette ai propri contribuenti di assolvere gli obblighi fiscali in soli 86 giorni lavorativi
 

Oltre all’eccessivo carico fiscale che grava sui contribuenti, il problema nel nostro Paese è anche il peso dell’oppressione fiscale che ostacola l’attività quotidiana, soprattutto delle imprese di piccola dimensione. Al netto delle tariffe applicate dai commercialisti per la tenuta della contabilità aziendale, secondo una indagine realizzata periodicamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il costo della burocrazia fiscale in capo agli imprenditori (obblighi, dichiarativi, certificazione dei corrispettivi, tenuta dei registri, etc.) ammonta a circa 3 miliardi all’anno.

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