Non esistono opzioni indolori. Tagliare gli sconti fiscali vuol dire, di fatto, aumentare le imposte. Ridurre gli investimenti è dannoso per un’economia già zoppicante. Mentre la “sfida” ai mercati rischia di tradursi subito in altre risorse da reperire per pagare i maggiori interessi sul debito pubblico (si veda la pagina seguente). E questo anche senza evocare scenari più radicali come l’Italexit o il default.
2. Flat tax. È una delle bandiere della Lega, che già con la scorsa legge di Bilancio ha potenziato il regime forfettario per le partite Iva. E che ha previsto, dal prossimo 1° gennaio, la tassa piatta del 20% sui ricavi fino a 100mila euro. Nelle intenzioni del Carroccio, la prossima mossa dovrebbe essere la flat tax per dipendenti e pensionati, con una riduzione del prelievo di circa 15 miliardi (compresa la riscrittura del bonus 80 euro). Ma tutto dipende da come finirà la crisi di governo.
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Senza dimenticare che, negli ultimi anni, tutti i governi hanno moltiplicato i regimi di tassazione sostitutiva (da quelli sui redditi di capitale a quello, più recente, sulle lezioni degli insegnanti). Le flat tax “minori” già nel 2017 avevano tagliato il traguardo dei 16 miliardi di gettito (si veda Il Sole 24 Ore del 1° ottobre scorso). E certo chi vorrà ragionare sulla flat tax “maggiore” dovrà rimettere mano anche a queste.
3. Bonus 80 euro. Introdotto nel 2014 dall’allora premier Matteo Renzi, vale circa 9,5 miliardi all’anno, con un massimo di 960 euro per chi lo riceve in formula piena. Eliminarlo è impopolare e nessuna forza politica lo dice apertamente. Nei piani della Lega c’è l’idea di modificarlo facendo sì che nessun contribuente ci rimetta. Anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha lavorato al dossier, con l’ipotesi di elevarne l’importo.