Più suggestiva è l’idea di dirottare le risorse verso le giovanissime generazioni. Sette miliardi all’anno è la cifra che l’Italia destina in totale ad asili nido (1,2 miliardi) e scuole materne. Una spesa di molto inferiore a quella degli altri Paesi Europei e che ci tiene ben lontani dall’obiettivo minimo suggerito dall’Unione europea: un terzo dei bambini sotto i 3 anni al nido. In Italia, siamo solo al 10%, con grandi differenze geografiche.
Un maggior utilizzo degli asili nido aiuterebbe ad aumentare l’occupazione femminile, che ci vede agli ultimissimi posti in Europa. A differenza di Quota 100, che – contrariamente ai proclami dei promotori, ma come largamente previsto – non ha avuto gli effetti desiderati sull’occupazione giovanile.
Ma si può pensare ai giovani anche lasciando le risorse sul capitolo pensioni. Come fatto dalla Svizzera con i fondi di compensazione Avs nel 1946, si potrebbe istituire un fondo pensione a capitalizzazione da usare come cuscinetto per finanziare le prestazioni future o una pensione di garanzia per i giovani.
Certo, è possibile che le risorse vadano indirizzate proprio ai sessantenni. I bambini non votano e crescono in fretta. E così i loro genitori si trovano rapidamente ad avere priorità diverse dall’asilo nido. Ma, anche se i vincoli politici impongono una destinazione ad generationem delle risorse, si può fare meglio di Quota 100. Basterebbe indirizzare i fondi verso la long term care, l’assistenza ai non-autosufficienti – nei tre quarti dei casi ultrasessantacinquenni, in cui l’Italia spende meno della metà della media dei paesi Ocse.