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La Corte costituzionale dice basta al Parlamento sui decreti omnibus

L’ALTOLÀ

Con una pronuncia di inizio dicembre (sentenza n. 247/2019), proprio mentre la Camera licenziava con una maratona notturna il decreto fiscale collegato alla manovra 2020, i giudici della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale anche per estraneità di materia di un articolo aggiunto in Parlamento nella conversione, neanche a farlo apposta, del Dl fiscale dello scorso anno (119/2018). Nonostante questo intervento, ancora oggi non manca il ricorso da parte della maggioranza a questi mostri giuridici

di Andrea Carli e Marco Mobili

18 dicembre 2019


ll Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale (Agf)

7′ di lettura

Un nuovo stop della Corte costituzionale ai decreti omnibus di Parlamento e Governo. Con una pronuncia di inizio dicembre (sentenza n. 247/2019), proprio mentre la Camera licenziava con una maratona notturna il decreto fiscale collegato alla manovra 2020, i giudici della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale anche per estraneità di materia di un articolo aggiunto in Parlamento nella conversione, neanche a farlo apposta, del Dl fiscale dello scorso anno (119/2018). Una linea confermata anche da due ordinanze (274 e 275) depositate oggi, 18 dicembre, con cui la Consulta, seppur dichiarando inammissibile la questione sollevata da due senatori, sottolinea che la palese estraneità, rispetto al contenuto originario di un decreto legge, di emendamenti introdotti in fase di conversione può giustificare il ricorso di un deputato o di un senatore alla Corte costituzionale purché costituisca, fin dalla sua prospettazione, un vizio così grave da menomare le prerogative costituzionali dei parlamentari.

L’ultima pronuncia
Nel dettaglio si trattava dell’incompatibilità tra la carica di commissario ad acta della regione Molise e qualsiasi incarico istituzionale presso la regione commissariata, compreso quello di presidente di regione. Un’incompatibilità che il Governo di allora e il Parlamento avevano inserito con l’articolo 25-septies. E lo stesso numero dell’articolo rende l’idea di come in fase di conversione i decreti legge, soprattutto gli ultimi, tendano a lievitare. E il più delle volte con misure eterogenee che nulla hanno a che fare con il contenuto iniziale del provvedimento d’urgenza.

I precedenti
Non è la prima volta che la Consulta si pronuncia sulla mancanza di omogeneità nella conversione dei decreti legge. Come si legge nella sentenza n. 247 del 4 dicembre 2019, «l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto-legge determina la violazione dell’articolo 77, secondo comma, della Costituzione». E il problema per queste norme, ricorda il redattore della pronuncia, Franco Modugno, «non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza, giacché esse, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma scaturisce dall’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012)».

L’uso distorto della legge di conversione
La Consulta in prima battuta mette nel mirino le leggi di conversione ricordando che queste sono funzionali alla «stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge ed è caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario». Nessuna apertura a «qualsiasi contenuto», scrive la Corte rifacendosi all’articolo 96 dello stesso regolamento della Camera. « A pena di essere utilizzate per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, le disposizioni introdotte in sede di conversione devono potersi collegare al contenuto già disciplinato dal decreto-legge, ovvero, in caso di provvedimenti governativi a contenuto plurimo, alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso (sentenza n. 32 del 2014). Anche il Governo ha le su responsabilità. «Il carattere peculiare della legge di conversione comporta che il Governo – stabilendo il contenuto del decreto legge – sia nelle condizioni di circoscrivere, sia pur indirettamente, i confini del potere di emendamento parlamentare», dice la Corte.

Non è sfuggito alla Consulta, così come al Comitato per la legislazione della Camera come il decreto legge del 2018 era entrato in Parlamento con 27 articoli e, con il sole esame del Senato, è uscito con 64 articoli complessivi. Cosa potrebbe dire allora del nuovo decreto fiscale semplicemente “vidimato” definitivamente dal Senato dopo che con l’esame della Camera si è passati dai 56 articoli di partenza a oltre 90? La risposta potrebbe essere già nota e scritta con questa ultima sentenza della Consulta là dove motiva la sua decisione di incostituzionalità di quella norma del 2018 affermando che «tra le norme che hanno formato oggetto del decreto-legge n. 119 del 2018 e quella oggetto di scrutinio, inserita ad opera della legge di conversione, non sia intravedibile alcun tipo di nesso che le correli fra loro, né sul versante dell’oggetto della disciplina o della ratio complessiva del provvedimento di urgenza, né sotto l’aspetto dello sviluppo logico o di integrazione, ovvero di coordinamento rispetto alle materie “occupate” dall’atto di decretazione».

Fonte

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