Consiglio dei ministri non ancora convocato per il passo indietro dei pentastellati
di Manuela Perrone
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Si litiga fino a sera nella maggioranza sul nodo che sembrava essere stato risolto nel vertice fiume di domenica tra il premier Giuseppe Conte e i capidelegazione: la regolarizzazione di braccianti agricoli, colf e badanti. A rimangiarsi in toto l’intesa raggiunta, su cui era arrivato il sostanziale via libera del capodelegazione M5S Alfonso Bonafede e del capo politico Vito Crimi, sono stati proprio i Cinque Stelle. Che sin dal mattino di ieri hanno cominciato una raffica di distinguo, al grido di «no alle sanatorie ingiustificate e indiscriminate».
Il compromesso prevedeva in realtà che il datore di lavoro possa far emergere il lavoratore in nero autodenunciandosi, in cambio dell’immunità penale. Ma senza sconti per i datori che siano stati condannati anche in via non definitiva negli ultimi cinque anni per il reato di caporalato o reati legati alla legge sull’immigrazione, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o di minori. Oltre a questa forma di regolarizzazione, nella bozza concordata domenica notte se ne affiancava un’altra: permessi temporanei di soggiorno per la ricerca di lavoro della durata di sei mesi per chi ne abbia uno scaduto il 31 ottobre 2019, ma soltanto se l’Ispettorato del lavoro accerta che il lavoratore ha già prestato la propria attività nei settori dell’agricoltura o del lavoro domestico.
La retromarcia M5S è tutta politica e arriva anche su input di Luigi Di Maio, timoroso degli assalti del centrodestra, Lega e Fdi in primis. «Per noi impensabile avallare un accordo che preveda un condono penale» per chi sfrutta il lavoro irregolare nei campi, tuona il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia. «Non siamo convinti che le persone che fanno lavorare in nero debbano avere un condono rispetto al penale, non è la cosa giusta, non è corretto fare uno sconto ai caporali», aggiunge la viceministra all’Economia Laura Castelli. E una nota del Movimento ribadisce: «Confermiamo il nostro principio di partenza: il permesso di soggiorno deve essere legato ad un contratto di lavoro, non viceversa. Resta poi confermato il nostro fermo “no” rispetto a qualunque ipotesi di sanatoria sui reati commessi». Parole che sembrano ignorare i contenuti dell’intesa. Tra i renziani di Italia Viva, che con la ministra Bellanova ha legato a doppio filo la sua permanenza al Governo alla regolarizzazione dei migranti, l’irritazione è palpabile. Ma anche nel Pd si perde la pazienza. Tanto che il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, al Tg5 delle 20 dà per risolti tutti i nodi e mette un punto: «La regolarizzazione dei migranti nel decreto c’è». Un avvertimento, d’intesa con il premier, per richiamare all’ordine i Cinque Stelle. Che a pre-Consiglio dei ministri in corso lasciano filtrare un’apertura: «Il testo è migliorato, ma l’accordo ancora non c’è».