Da quest’anno l’alternanza scuola-lavoro non si chiama più così. Il nuovo nome voluto dal governo Conte è «percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento» e tale attività è caratterizzata, per effetto dell’ultima legge di bilancio, da un dimezzamento di ore e fondi, già operativo quest’anno. Nei tecnici e professionali si passa, bruscamente, da almeno 400 ore nel corso degli ultimi tre anni, a, rispettivamente, almeno 150 ore e ad almeno 210 ore nelle stesse classi. Nei licei si scende da 200 ore a 90 ore. Più che ridotti anche gli stanziamenti: da 100 milioni di euro previsti ex lege (a cui negli anni si aggiungono, di solito, i fondi Ue messi a disposizione dei Pon) si è scesi a meno di 50 milioni.
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L’impatto sulle scuole
La differenze nelle scuole si è vista eccome: se fino allo scorso anno un istituto tecnico industriale di medie dimensioni, 1.300 alunni, per esempio, riceveva intorno ai 60mila euro, adesso si è visto accreditare sul conto una cifra inferiore ai 30mila euro. Soldi che i presidi spendono per retribuire i docenti (impegnati nelle attività di alternanza – a noi piace continuarla a chiamare così, ndr) e per trasporti, vitto ed eventuale alloggio dei ragazzi.
Novità subito applicate già quest’anno
Per presidi e insegnanti la novità è stata grande e, per espressa previsione normativa, ha trovato subito applicazione anche ai progetti in corso. Non solo l’alternanza, almeno per quest’anno, non costituirà neppure requisito di ammissione all’esame di maturità (il Miur ha messo una pezza in una circolare spiegando che l’alternanza peserà comunque nel colloquio orale).
Il ritardo nell’emanazione delle linee guida
Il punto è che questo cambiamento radicale doveva essere accompagnato da apposite linee guida ministeriali che, sempre in base alla legge di bilancio 2019, dovevano essere varate entro il 2 marzo 2019. Sono passati oltre due mesi, ormai nelle classi si stanno finendo le lezioni, e ancora non sono arrivate. Vero è che le indicazioni del Miur, probabilmente, saranno destinate a valere a partire da settembre per i progetti che avranno inizio o che saranno in corso con la partenza del nuovo anno scolastico, 2019-2020. Ma appare davvero singolare riformare una fetta di offerta didattica (perchè l’alternanza scuola-lavoro non è apprendistato o stage, ma scuola a tutti gli effetti, ndr) e non fornire agli operatori le indicazioni operative.
La situazione di stasi nelle scuole e nelle aziende
Un simile modo di procedere ha prodotto un effetto: nelle scuole si è rimasti fermi. È noto che una fetta del corpo docente è storicamente restia a conoscere il mondo fuori dalla propria aula. Molti progetti di formazione on the job oltre le nuove ore minime sono stati messi in discussione dagli insegnanti. Anche genitori mandano mail alle scuole per chiedere di esonerare i propri figli dall’alternanza visto al raggiungimento delle ore minime ora previste. Per non parlare delle aziende: per loro l’alternanza non è mai stata un obbligo (lo è per le scuole), ma nonostante ciò c’hanno creduto e hanno aperto le porte ai ragazzi. E adesso? Anche gli imprenditori stanno riflettendo: se il gioco non vale più la candela (con le nuove ore minime i giovani staranno in azienda poco più di una settimana l’anno, ndr), che senso ha proseguire nello sforzo? Girando i territori e sentendo la base imprenditoriale la domanda non è così infrequente.
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