Le acquisizioni “pilotate” di banche come Popolare di Vicenza e Veneto Banca e altre hanno accresciuto i già pingui portafogli di Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Monte dei Paschi e Ubi, che però mirano a ulteriori riduzioni di personale
“L’utile semestrale delle cinque maggiori banche italiane è decuplicato, balzando dai 526 milioni di giugno 2017 ai 5,2 miliardi di quest’anno, una cifra che però equivale appena alla somma dei 5 miliardi di minori rettifiche su crediti dovute anche a massicce cessioni di crediti deteriorati immobiliari e dei 390 milioni di minori costi del personale, a fronte del taglio di ben 15.600 occupati e della chiusura di 1.300 sportelli“. E’ l’analisi delle semestrali di Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Monte dei Paschi e Ubi effettuata dall’ufficio studi di First Cisl. Secondo il segretario generale Giulio Romani, “è sempre e solo la componente lavoro che sostiene i ricavi, con il gettito commissionale salito da 36 mila a quasi 39 mila euro per dipendente”.
“Il gettito da interessi e da commissioni delle prime cinque banche – spiega Riccardo Colombani, responsabile dell’ufficio studi di First Cisl – si è incrementato appena dello 0,5%: il margine primario è infatti salito a 22 miliardi contro i 21,9 del giugno 2017. Se il margine di interesse resta fermo poco sotto i 12 miliardi per i bassi livelli dei tassi, sulle commissioni nette, stabili intorno ai 10 miliardi, incidono invece le modifiche introdotte con la Midif II, che differisce i ricavi nel tempo, legandoli alla gestione: ecco perché insistiamo sulla necessità che le banche investano sulla formazione finanziaria sia del personale sia della clientela, è una delle chiavi di volta del rilancio del business”.
“I costi operativi – prosegue Colombani – gravano sempre meno sui ricavi, visto che il loro peso scende al 54% contro il 57,4% del primo semestre del 2017: ben più della metà dei risparmi sono dovuti alla riduzione del costo del personale. Se guardiamo gli altri indicatori correlati al lavoro, vediamo che le commissioni nette valgono ormai il 118% del costo del personale, contro il 112% di un anno fa, mentre il margine primario cuba più di due volte e mezzo l’intero monte salari. Mediamente, in sei mesi ciascun addetto delle big 5 ha contribuito alla formazione del margine primario per quasi 85 mila euro, contro gli 80 mila euro del primo semestre del 2017. Cresce molto anche l’apporto delle filiali: il margine primario medio per sportello è di quasi 1,4 milioni in sei mesi, 112 mila euro in più per ciascuna agenzia, con la componente delle commissioni nette che mediamente sale da 588 mila a 638 mila euro per punto vendita”.
“I profeti del digitale – osserva Romani – dovranno ricredersi: una riforma del sistema bancario che torni a valorizzare la professionalità del personale e la prossimità con la clientela non può più essere differita e l’occasione per darle vita è l’imminente fase di rinnovo del contratto nazionale”.
“Immagino – conclude Romani – che appena inizieremo a discutere il contratto l’Abi ci dica che gli utili non bastano a saziare gli appetiti degli investitori, ma l’obiezione non regge: è il lavoro a dare ossigeno ai bilanci ed è tempo di restituire ai bancari ciò che hanno dato, con enormi sacrifici sia in termini di fatica che di solidarietà, per il risanamento del sistema bancario, così come va riconosciuto lo spostamento delle responsabilità dell’attività anche sulle figure un tempo solo esecutive, valutandolo come un fattore di produttività del sistema. Fatto salvo che in ogni caso va ripristinato un rapporto più corretto tra salario contrattato e salario discrezionale”.
Nemmeno una parola, da parte di un sindacato che nasce da una matrice cristiana e solidale, sulle effettive responsabilità di un personale, più o meno cosciente, più o meno telecomandato dai vertici, che ha contribuito alle truffe nei confronti di centinaia di migliaia di risparmiatori.