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Il crollo di apple al Nasdaq
È stata un’altra tornata di trimestrali complicate per le quotate tecnologiche americane. A fatturato e utili spesso oltre le attese, il mercato ha reagito con un calo. L’attenzione resta sulle prospettive di crescita. Tra le promosse ci sono Apple e Facebook, non a caso le società che avevano avuto maggiore pressione nelle settimane precedenti. Snapchat festeggia. Rimandate Alphabet, Microsoft e Netflix. Bocciate dai mercati Twitter e Amazon.
APPLE, POTEVA ANDARE PEGGIO: I problemi di Apple non sono evaporati di colpo: le vendite di iPhone restano anemiche e lo saranno anche nei mesi a venire. Ma la lettera del 2 gennaio, con cui la società annunciava il taglio delle stime precedenti, aveva abbassato talmente tanto le aspettative che a Cupertino è bastato non fare peggio per dare un segnale positivo: il fatturato, da 84,3 miliardi, è stato comunque in calo del 5% rispetto agli ultimi tre mesi del 2017.
L’utile è invece aumentato del 7,5%. Le vendite di iPhone erano attese deboli e sono state persino più cupe. Gli smartphone hanno incassato 51,98 milioni di dollari, contro le stime degli analisti che andavano oltre i 52 milioni: il calo anno su anno è del 15%. E questa volta neppure i prezzi stellari hanno mascherato la diminuzione delle unità vendute. Cupertino ha preferito così valorizzare i servizi, anche grazie a un sapiente ridisegno del bilancio, che ha iniziato a distinguere i margini da prodotti (più bassi, al 34%) da quelli dei servizi (più generosi, al 63%).
Un dato che fa il paio con la crescita degli incassi: dai servizi sono arrivati 10,87 miliardi, il 19% in più rispetto a un anno prima. Positive anche le vendite di Mac (+9%), iPad (+17%) e soprattutto “altri prodotti” (+33%). Gli investitori hanno preferito concentrarsi su questi dati piuttosto che evidenziare le previsioni grigie per il trimestre in corso: il fatturato stimato tra i 55 e i 59 miliardi di dollari si tradurrebbe in un calo tra il 3 e il 10%. C’è quindi la concreta possibilità che Apple rallenti ulteriormente. Eppure, dalla diffusione della trimestrale, il titolo ha guadagnato il 10,5%. Un rialzo figlio di un sospiro di sollievo: è andata male ma sarebbe potuta andare peggio.
FACEBOOK, PROVA DI FORZA: Dopo la sanguinosa trimestrale di luglio e quella interlocutoria di ottobre, Facebook torna a sorridere. Tra ottobre e dicembre, il gruppo guidato da Mark Zuckerberg ha registrato un fatturato di 16,91 miliardi, oltre i 16,39 attesi, in crescita del 30% anno su anno e del 23% rispetto al trimestre precedente.
C’è un piccolo rallentamento (il progresso anno su anno del terzo periodo era stato del 33%), ma minore del previsto. Zuckerberg lo ripete da mesi: è in corso un assestamento che porterà Facebook verso una crescita annua più vicina al 20 che al 40%. Ma lo slittamento sta avvenendo senza scossoni.
L’utile netto è arrivato a 6,88 miliardi, in crescita del 61%. Al dì là del trimestre, colpisce come Facebook abbia chiuso l’anno più difficile della sua storia con un fatturato in crescita del 37% (a 55,8 miliardi) e con un utile lievitato del 39% (a 22,1 miliardi). Una dimostrazione di forza che i mercati hanno apprezzato con un rialzo immediato a doppia cifra.
Il titolo si mantiene ancora oggi 10,6 punti punti percentuali oltre il prezzo della seduta pre-trimestrale. Molti sono stati i segnali positivi: gli inserzionisti continuano a essere fedeli (l’incasso da pubblicità è aumentato del 30%). I costi (come previsto) lievitano ma i margini reggono. Tengono gli utenti. Gli iscritti attivi ogni giorno sono 1,52 miliardi (il 9% in più anno su anno) e quelli che si connettono ogni mese sono 2,32 miliardi (sempre in aumento del 9%). E soprattutto fruttano di più: ognuno vale 7,37 dollari, il 21% in più rispetto al trimestre precedente.
SNAPCHAT, LA SORPRESA: Per dimensioni, Snap (la società proprietaria di Snapchat) non è paragonabile alle big di Wall Street. La sua capitalizzazione è 40 volte minore rispetto a quella di Facebook. Eppure il social network è stato un caso in questa tornata di trimestrali: in due sedute, il titolo ha guadagnato il 22%.
Anche qui, come per Apple, c’entrano le aspettative basse. E, come per Apple, i problemi non si sono dissolti. Sono però arrivati alcuni riscontri positivi: gli utenti hanno smesso di scappare (ma non sono ancora tornati a crescere), il fatturato è aumenta oltre le attese e (soprattutto) l’Ebitda è migliorata, facendo intravedere la possibilità di generare profitti. Gli iscritti che si collegano ogni giorno sono 186 milioni, praticamente lo stesso numero del trimestre precedente.
Snapchat veniva però da due periodi di calo. Il vero punto di forza, però, è la composizione di questa platea: gli inserzionisti hanno raggiunto il 70% della popolazione statunitense tra i 13 e i 34 anni. L’app, popolarissima tra i giovani, permette di arrivare a fetta di popolazione difficile da toccare non solo per i media tradizionali (come la tv) ma anche per i social più maturi come Facebook. Tra ottobre e dicembre il fatturato è stato di 390 milioni di dollari, il 36% in più anno su anno.
Dato positivo perché ha superato le attese, anche se evidenza la tendenza al rallentamento (Snap era cresciuto del 54, 44 e 43% nei trimestri precedenti). L’Ebitda di Snapchat è ancora negativa per 50 milioni, ma ha un rosso molto più lieve rispetto a quello di un anno fa, quando era di 159 milioni. La perdita netta è passata da 350 a 192 milioni. Qualche passo avanti nell’ancora lungo percorso verso la profittabilità.
MICROSOFT IN EQUILIBRIO: Microsoft è stato il gigante tecnologico che meglio ha retto alla buriana di fine 2018. La trimestrale non è stata accolta con favore, con un calo immediato del 2%. Non ci sono stati numeri eclatanti ma neppure passaggi a vuoto. Il bilancio ha mostrato un notevole equilibrio, tanto che nelle sedute successive il rosso si è attenuato: da quando ha diffuso la trimestrale a oggi, il gruppo ha perso solo l’1%. I ricavi sono stati in linea con le attese: 32,5 miliardi di dollari (+12% anno su anno). Merito soprattutto dei servizi in cloud, ma anche delle buone notizie arrivate dalle altre divisioni, hardware compreso (particolarmente importante nella stagione natalizia).
Appena sotto le attese l’utile. Un, parziale, segnale opaco (ma non certo nero) è la piccola titubanza di Azure, il cloud sul quale Microsoft punta molto. La società non ha rivelato quanto ha incassato ma solo quanto è cresciuto: del 76%. Il balzo, per quanto lungo, è stato identico a quello del trimestre precedente, innescando il dubbio che Azure stia correndo ma abbia smesso di accelerare.
Buoni segnali sono arrivati dalla linea degli hardware Surface, dai videogiochi, da LinkedIn (fatturato in crescita del 29%) e dai servizi per le aziende. Al di là degli umori, quindi, Microsoft si è confermata in salute. E soprattutto in equilibrio: i tre segmenti del bilancio (intelligent cloud, produttività e personal computing) hanno incassato rispettivamente 9,4, 10,1 e 13 miliardi. Nessuno sovrasta l’altro. Ed è un equilibrio destinato a durare, perché l’area oggi più ricca (personal computing) cresce meno e quella più “povera” (intelligent cloud) più delle altre due. Si va quindi verso una distribuzione ancora più equa, capace di ammortizzare le oscillazioni stagionali.
ALPHABET, ATTACCO AL RE DELLA PUBBLICITA’: Alphabet, la holding che controlla Google, ha registrato utili e fatturato oltre le attese. Ma non è bastato: hanno prevalso i timori per una crescente concorrenza nel mercato pubblicitario. Il titolo però non è sprofondato: ha perso il 3% in pochi minuti. Ma si è poi mantenuto a galla: dal 4 febbraio il calo è infatti del 3,1%. Il fatturato è stato di 39,28 miliardi (contro i 38,93 attesi dagli analisti). Superando le attese, Alphabet ha messo a segno un progresso del 23%, superiore a quello del trimestre precedente e che scongiurando il secondo periodo consecutivo in frenata.
Positivo anche l’utile, che sfiora i 9 miliardi. Le azioni sono state frenate da un altro dato, quello del “costo per clic”: è la cifra che un inserzionista paga al motore di ricerca ogni volta che un utente clicca su un annuncio. È diminuita del 29% anno su anno e del 9% rispetto al trimestre scorso. Potrebbe significare che, tra regolamentazione e concorrenza, Google (dominatore del mercato) starebbe perdendo parte del proprio potere di “fare il prezzo”.
Mentre avanza l’ombra di Amazon, che – pur su una quota di mercato infinitamente minore – nell’ultimo trimestre ha raddoppiato il fatturato pubblicitario. Anche le spese in conto capitale (cioè la cassa che la società impiega per far girare e crescere la propria attività) potrebbero essere un’altra spia della crescente concorrenza: sono state di 7 miliardi di dollari, ben oltre i 5,63 miliardi previsti.
NETFLIX, LE SERIE TV COSTANO: Da Netflix sono arrivati segnali contrastanti: l’utile è in calo (come previsto), il fatturato in crescita ma leggermente sotto le stime, le attese per il trimestre in corso meno brillanti di quanto sperato. Gli abbonati però continuano ad aumentare. Dal 17 gennaio, ultima seduta prima della diffusione della trimestrale, il titolo ha perso il 2,4%. Il fatturato è stato di 4,19 miliardi, in crescita del 27,4% anno su anno ma leggermente sotto le stime di Wall Street (4,21 miliardi). L’utile netto (134 milioni di dollari) ha invece superato le attese ma fatto segnare un deciso calo rispetto al trimestre precedente (-66%) e al quarto periodo del 2017 (-28%).
Il dato pesa, perché dà un’idea di quanta pressione possano esercitare la dispendiosa produzione di contenuti originali. Lo dimostrano anche il margine operativo lordo, sceso al 5,2% “a causa dei molti titoli lanciati nel trimestre”. Netflix continua però ad avere il proprio punto di forza negli utenti: 8,8 milioni di nuovi abbonati nel trimestre e 29 milioni in tutto il 2018. Una platea in espansione è il miglior paracadute per un servizio che, pochi giorni prima dei risultati, aveva annunciato un rincaro dei prezzi negli Stati Uniti.
AMAZON STA RALLENTANDO: Neppure ad Amazon fatturato e utili record sono bastati: dal giorno della trimestrale, il titolo ha perso il 6%. Colpa delle attese deluse per il periodo gennaio-marzo, che confermano un piccolo rallentamento del gruppo. Amazon ha incassato 72,4 miliardi di dollari, contro i 71,9 miliardi stimati dagli analisti. Eppure l’incremento delle vendite (del 19,7%) è stato pur sempre il più contenuto degli ultimi quattro anni. L’utile netto è stato di 3 miliardi, in crescita del 66% rispetto allo scorso anno. Per dare un’idea delle sue dimensioni: nel solo quarto trimestre 2018, Amazon ha generato gli stessi utili di tutto il 2017.
A penalizzare il titolo sono state, come era successo a ottobre, le previsioni per il trimestre in corso. Il fatturato atteso è tra i 56 e i 60 miliardi. Che si traduce in un progresso anno su anno tra il 10 e il 18%. Comunque vada (salvo nel caso in cui Amazon battesse le sue stesse stime) il gruppo confermerà il rallentamento. Le buone notizie sono arrivata da Aws, cioè dai prodotti in cloud di Amazon. Hanno incassato 7,43 miliardi e adesso pesano il 10% del fatturato. Il segmento “Altro”, composto soprattutto da attività pubblicitarie, è salito del 95%, a 3,4 miliardi di dollari. Un dato che ha fatto scattare l’allarme tra le società che campano di pubblicità online (Facebook e Google): al tavolo si è seduto un altro giocatore. Al momento ha poche fiches da puntare, ma il portafogli pieno.
TWITTER E LA SCOMPARSA DEGLI UTENTI: Twitter ha diffuso la trimestrale il 7 gennaio. E ha perso in una sola seduta il 9,8% nonostante fatturato e utili oltre le attese. Soprattutto perché gli utenti continuao a diminuire e le spese ad aumentare. Il quarto trimestre 2018 si è chiuso con un giro d’affari di 909 milioni di dollari. Il dato è in crescita del 24% anno su anno. Meglio del previsto anche l’utile: 255 milioni.
Twitter ha ormai capito come gudagnare ed è stabilmente in utile (il risultato netto dell’intero anno supera il miliardo). Una volta data la profittabilità per assodata (cosa tutt’altro che certa un paio d’anni fa), gli investitori si aspettano adesso di più. Gli utenti sono stati in liena con le scialbe previsioni della vigilia: 321 milioni, 5 milioni in meno del trimestre precedente e 9 milioni in meno anno su anno. La piattaforma continua quindi a perdere iscritti a ritmo costante. E il ceo Jack Dorsey continua a ripetere che non sia una colpa ma un merito: Twitter sta facendo pulizia di bot e profili nocivi.
Con tutta probabilità, quindi, gli utenti mensili continueranno a diminuire, anche perché le misure di controllo si espanderanno: lo conferma un ulteriore incremento dei costi nel 2019, attorno al 20%. La società ha allora deciso di non divulgarne più il numero (dalla prossima trimestrale). Dirà solo quanti sono gli“utenti quotidiani monetizzabili”. Cioè quelli che accedono aTwitter tutti i giorni e vengono raggiunti dalla pubblicità.
Sono, ha svelato la compagnia per la prima volta, 126 milioni. Un dato bifronte. Da una parte (a differenza degli utenti mensili) cresce da otto trimestri consecutivi (nell’ultimo anno, del 9,5%) e sottolinea come la “pulizia” del social crei maggiore coinvolgimento. Dall’altra Twitter svela una platea giornaliera inferiore al previsto. Per fare un confronto: Snapchat ne ha 60 milioni in più.
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