Dalla legge Fornero al decreto Rilancio: continue modifiche normative su durate, causali, proroghe, rinnovi. La certezza del diritto, per questo istituto, sembra essere una chimera
di Claudio Tucci
Dalla legge Fornero al decreto Rilancio: continue modifiche normative su durate, causali, proroghe, rinnovi. La certezza del diritto, per questo istituto, sembra essere una chimera
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Se c’è un istituto giuridico, nel diritto del lavoro, che proprio non riesce a conoscere “pace” è il contratto a tempo determinato. Un rapporto di lavoro che, praticamente dalla sua nascita, vive (e si fonda) su un equilibrio delicato, tra flessibilità nel suo utilizzo e voglia di stabilizzazione, e che, ogni governo, prova, di volta in volta, a rimettere in discussione, tirando la coperta da un lato piuttosto che dall’altro, a seconda delle priorità politiche del momento. Il risultato? Che negli ultimi otto anni (e dalla nostra analisi abbiamo evitato di conteggiare il collegato Lavoro del 2010) ha subito ritocchi quasi ogni anno.
Dalla legge Fornero al decreto Poletti
Per “definizione” il contratto a termine è un contratto di lavoro subordinato, nel quale è prevista una durata predeterminata, attraverso l’indicazione di un termine. Si tratta, quindi, di un rapporto di impiego tutelante per il lavoratore, alla stregua della somministrazione. Dalla normativa del 2001, influenzata anche dal diritto comunitario, era previsto che l’impresa potesse ricorrere al contratto a termine solo in presenza di ragioni specifiche (le cosiddette causali). Con la legge Fornero del 2012 la novità principale è consistita nella possibilità di non indicare le ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine solo in caso di primo contratto a termine stipulato di durata non superiore a 12 mesi. Il tema delle causali però ha subito acceso i contenziosi. Ecco allora che, dopo alcune semplificazioni operate nel 2013 dal decreto Giovannini, è arrivato il decreto Poletti nel 2014 a “liberalizzare” completamente l’istituto, prevedendo – è la principale novità – contratti a termine fino a 36 mesi (la durata massima prevista dalle regole Ue) a-causali.
La stretta operata dal decreto Dignità
Il decreto Poletti ha avuto il merito, riconosciuto sostanzialmente da tutti, di azzerare o quasi i contenziosi e di far decollare questa tipologia contrattuale, in un momento di ripresa dell’economia. La liberalizzazione dei contratti a termine, nell’allora governo del 2014, era stata affiancata da un robusto piano di incentivi per assumere a tempo indeterminato. Tuttavia, l’ampio ricorso ai contratti a termine, in alcune settori anche di breve o brevissima durata, è stato oggetto di critica soprattutto dal M5S, che ha più riprese ha parlato di precarizzazione del mercato del lavoro. Una volta al governo, i “grillini” hanno varato il loro provvedimento. Ecco allora che nel 2018 è arrivato il decreto dignità che ha reintrodotto tre rigide causali legali e ridotto la durata massima dei contratti a termine a 24 mesi, di cui solo i primi 12 acausali. C’è stato poi un aggravio dei costi: oltre all’addendum dell’1,4% per finanziare la nuova indennità di disoccupazione è scattato un incremento dello 0,5 in occasione di ciascun rinnovo.
I correttivi parziali del decreto Rilancio
Le nuove regole introdotte nel 2018 avevano l’obiettivo, anche condivisibile, di spingere le imprese a stabilizzare i collaboratori a tempo. Tuttavia la portata delle modifiche introdotte (tutte a discapito delle imprese) hanno avuto un diverso effetto. Qualche stabilizzazione c’è stata, ma solo nei primi mesi successivi all’intervento. Da oltre un anno infatti si assiste al crollo dei contratti a termine e alla sostanziale stabilità delle assunzioni stabili, complice anche la difficile congiuntura economica. Per tamponare questa situazione nel decreto Rilancio, su spinta del Pd, è stata inserita una deroga al decreto dignità su proroghe e rinnovi, che per un periodo limitato tornano libere, vale a dire senza causali. A questo intervento, è però poi seguito un altro, più stringente: la proroga ex lege del termine (anche dei contratti in somministrazione) per una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 (quest’ultima disposizione creerà molte difficoltà alle imprese). Siamo così arrivati a metà luglio del 2020. Anche in queste ore si discute di ulteriori modifiche alla disciplina dei contratti a termine. Il punto è che i continui cambi normativi sui contratti a tempo minano la certezza del diritto e soprattutto creano incertezza tra aziende e lavoratori. È bene che tutto ciò venga tenuto in mente dal Legislatore di turno prima di imbarcarsi in nuovi interventi.