Da sinistra a destra, il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (foto Ansa)
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Circa 100 punti in meno di spread che spalmati sulla curva dei tassi portano a una minore spesa per interessi di circa 6 miliardi. È il dividendo da spread che dalla formazione del nuovo governo in poi fotografa il mutato clima dei mercati, degli investitori e di Bruxelles nei confronti del nostro paese.
Un anno fa il clima era di tutt’altra natura, con lo scontro frontale tra il governo Conte1 e la Commissione europea che si concluse solo poco prima di Natale con la retromarcia sul deficit (ricondotto al 2% rispetto all’iniziale 2,4%). È stato possibile evitare così la procedura d’infrazione.
Scenario che si è replicato a maggio scorso e questa volta la procedura d’infrazione è stata evitata grazie alle misure inserite nell’assestamento di bilancio di fine giugno (7,6 miliardi di correzione dei saldi 2019). Se dunque di dividendo si tratta, ed è una boccata di ossigeno per i nostri conti pubblici, tanto che la spesa per interessi scenderà quest’anno al 3,4% del Pil e al 3,3% nel 2020, rispetto al 3,7% del 2018, quel dividendo non va dissipato.
Come mostra con assoluta evidenza quel che è accaduto negli ultimi mesi, è la variabile politica a condizionare (in positivo o in negativo) una parte tutt’altro che secondaria dello spread. In sostanza, se i mercati percepiscono che le fibrillazioni politiche della scorsa come dell’attuale maggioranza possano mettere a repentaglio la stabilità del governo, chiedono al nostro paese un “extra” in termini di rendimento per compensare il rischio.
E così lo spread si impenna, cresce la spesa per interessi e gli spazi di bilancio (già esigui) per politiche fiscali orientate al sostegno della crescita e dell’occupazione si riducono ulteriormente. Le tensioni di questi giorni sulla manovra non sembrano per ora preoccupare più di tanto i mercati, ma il rischio evidentemente c’è e va evitato.