Proseguono i lavori del nuovo Governo per riformare le pensioni o meglio correggere la riforma Fornero, con la cosiddetta quota 100, che si raggiunge sommando età anagrafica e contributi versati
Roma – La riforma delle pensioni allo studio del Governo Lega M5s, secondo le prime indiscrezioni sul dossier sul tavolo del Governo Conte, potrebbe avvantaggiare prima di tutto i lavoratori più “forti”, ovvero gli uomini residenti al Nord e con impieghi più stabili. Per contro, vedrebbe allontanarsi nel tempo l’uscita delle donne e di quanti hanno avuto lunghi periodi di disoccupazione e cassa integrazione.
Sembra, insomma, che i primi a essere danneggiati sarebbero coloro che svolgono lavori gravosi, i disoccupati, chi ha un familiare disabile a carico e le donne. Tra le categorie avvantaggiate, invece, ci sarebbe quella degli impiegati pubblici.
Un provvedimento su “quota 100” potrebbe vedere la luce non prima dell’autunno o forse del 2019 slittando alla prossima legge finanziaria, insieme alla misura per permettere l’uscita con 41 anni e mezzo di contributi, a prescindere dall’età anagrafica.
Sono due, invece, i provvedimenti che potrebbero andare in vigore già in estate: lo stop all’Ape Social, un nodo comunque ancora tutto da sciogliere, e il rilancio in via sperimentale di opzione donna, l’anticipo pensionistico per lavoratrici inserito nelle leggi di bilancio 2016 e 2017 ma non prorogata dall’ultima manovra.Quest’ultima è la possibilità di uscire con 57-58 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi, vedendo però calcolato l’assegno interamente con il metodo contributivo.
Nell’attesa che i progetti siano definiti in dettaglio, si ipotizza l’accantonamento dell’esperienza dell’Ape social ma anche la pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica, attualmente prevista per i lavoratori precoci impegnati in attività gravose o per quelli che, pur contando su questo numero di anni di contributi, al momento sono disoccupati.
In pratica, si starebbe lavorando a un’ipotesi di quota 100 con almeno 64 anni di età, con almeno 36 di contributi, o un’uscita con 41 anni e mezzo di contributi escludendo dal computo però i contributi figurativi (includendo al massimo due, tre anni).
Chi potrebbe guadagnarci o chi perderci nel 2019 rispetto alla situazione attuale? Ecco alcuni esempi
Ci guadagna
- L’impiegato pubblico nato a gennaio 1955 purché lavori dal 1982: potrebbe andare in pensione nel gennaio 2019, a 64 anni con 37 anni di contributi. Con le norme attuali dovrebbe restare al lavoro fino al 2022, uscendo dopo i 67 anni di età,visto che dovrebbe esserci un nuovo scatto per l’aspettativa di vita.
- Il lavoratore nato nel 1956, impiegato in una grande azienda dal 1978, senza aver mai avuto periodi di contribuzione figurativa: con le nuove regole andrebbe in pensione nel 2019 con 41 anni e mezzo di contributi. Attualmente dovrebbe aspettare di raggiungere almeno i 43 anni e tre mesi di contributi uscendo nel 2021, subendo quasi certamente un nuovo aumento dell’aspettativa di vita.
Ci perde
- Donna attualmente disoccupata, nata a gennaio 1956 che però ha lavorato dal 1985 al 2015. Se l’Ape social continuasse nel 2019 potrebbe chiedere a 63 anni e 5 mesi di avere il sussidio, poiché ha esaurito da oltre tre mesi la Naspi, è disoccupata e ha almeno 30 anni di contributi. Le madri, al momento, hanno poi un maggiore sconto sui contributi per ogni figlio: un anno per figlio con un massimo di due anni. Con le nuove regole, non avendo i contributi necessari alla quota 100, potrebbe dover aspettare – se non ci sarà una clausola di salvaguardia ad hoc – i 67 anni andando quindi nel 2023, cui andrà aggiunta la nuova aspettativa di vita nel 2021 e nel 2023.
- Lavoratore precoce nato all’inizio del 1960 che lavora da 1978 con lunghi periodi di cassa integrazione, impegnato in attività gravose. Con le regole attuali uscirebbe nel 2019 con 41 anni e cinque mesi di contributi, in più l’anno prossimo scatta l’aumento di cinque mesi legato all’aspettativa di vita. Con le nuove regole dai 41 anni e mezzo di contributi necessari verrebbero esclusi alcuni anni di contributi figurativi previsti dalle regole sulla cassa integrazione e dovrebbe aspettare di avere 43 anni e tre mesi di contributi e uscire con la pensione anticipata.
Chi ci perde sub iudice è il pensionato d’oro: se partono i tagli alle pensioni superiori ai 5mila euro netti, equivalenti a circa 8.500 euro lordi per la parte del trattamento non legata ai contributi versati, perde circa il 5-6 per cento dell’assegno. Se invece viene introdotta in contemporanea la flat tax, facendo parte della fascia di reddito più alta ci guadagna comunque, con un vantaggio che potrebbe superare il 28 per cento dell’importo netto attuale.