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Per l’«acqua di cittadinanza» due miliardi di euro all’anno

Nelle ultime settimane era quasi scomparso dai radar, surclassato dalle polemiche su Tav, sicurezza, famiglia o codice appalti. Ma il disegno di legge sull’acqua pubblica targato M5s è pronto a riaprire l’ennesimo conflitto nella maggioranza. E sta producendo in questi giorni un lavorio sottotraccia che si concentra in particolare sulle ricadute per il bilancio pubblico.

L’esame in commissione è quasi finito, e dopo due rinvii il testo sta per puntare al debutto in Aula alla Camera, dove la capigruppo ha calendarizzato l’esame a partire dal 24 giugno. Sui tavoli del ministero dell’Economia, dove si studiano i profili finanziari del progetto che prevede la ripublicizzazione per legge della gestione del ciclo integrale delle acque, è arrivato un dossier di Ref Ricerche con dentro un numero allarmante. Due miliardi di costi strutturali all’anno. Una cifra importante, la metà delle tasse sulla prima casa che hanno infiammato la politica per un decennio. Servirebbe a finanziare una sorta di «acqua di cittadinanza», cioè i 50 litri al giorno che il progetto vuole garantire a tutti i cittadini. Ricchi e poveri, a differenza del reddito di cittadinanza.

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Finora il dibattito si è concentrato soprattutto sui costi una tantum. Perché la trasformazione forzosa delle attuali società di diritto privato caricherebbe sul debito pubblico almeno 4,4 miliardi di euro in più, rappresentati dal debito oggi nei bilanci delle sole monoutility. E il conto reale dovrebbe salire perché va considerata anche la quota “idrica” delle multiservizi.

C’è poi l’assegno da staccare per l’indennizzo ai soci privati cacciati dal capitale delle aziende. Qui la battaglia dei numeri è accesa: il Forum italiano dei movimenti per l’acqua (Fima) lo misura in 1,1-1,5 miliardi, calcolandolo in base al patrimonio netto contabile delle aziende. Oxera consulting, in un’analisi richiamata dal report dell’Istituto Bruno Leoni (Sole 24 Ore del 18 febbraio), lo fa volare invece in una forchetta fra gli 8,7 e i 10,6 miliardi, necessari a rimborsare il valore del capitale investito netto rivalutato. Alcuni nodi si stanno poi manifestando prima che il disegno di legge intraveda la Gazzetta Ufficiale. A più di un’azienda infatti le società di rating hanno già comunicato che il ritorno nel perimetro pubblico produrrà un sicuro downgrade delle loro obbligazioni, mentre l’incertezza sulle loro prospettive societarie complica ovviamente l’emissione di nuovi titoli. Ma il matrimonio con l’ente locale di riferimento aprirebbe anche al rischio di dover rimborsare in anticipo il prestito per il cambio di pelle del suo titolare.

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Tutte queste cifre colpiscono i conti aziendali e quelli degli enti locali che diventerebbero i proprietari unici delle società dell’acqua. Ma i costi dell’acqua di cittadinanza interessano direttamente i conti del ministero dell’Economia. Perché il «minimo vitale garantito» da 50 litri a persona, spiega l’articolo 3, comma 4 del disegno di legge, sarebbe «coperto dalla fiscalità generale». Tutti gli anni.

Il Ref propone un conto dettagliato, dopo aver esaminato il quadro tariffario di 5.566 Comuni. E il pallottoliere si ferma a 1.902.555.761 euro all’anno. Il Forum dei movimenti indica un costo poco sopra i 557 milioni. Si tratta però della sola quota variabile di acquedotto, mentre sulla tariffa idrica pesano anche le quote, fisse e variabili, per pagare fognatura e depurazione, che fanno appunto lievitare il conto.

Ma la discussione non si limita ai numeri di bilancio. I 50 litri al giorno sono la quota coperta già oggi dal «bonus idrico», riservato alle famiglie in condizioni di disagio economico, e sono stati più volte contestati come largamente insufficienti per un consumo normale senza sprechi. Estenderlo a tutti, anche a chi non ne ha bisogno, moltiplicherebbe ovviamente i costi. Ma non i benefici.

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