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La risposta europea alla crisi è certamente fondamentale, soprattutto se si riuscirà a dar vita in tempi brevi al Fondo per la ricostruzione secondo le intese politiche raggiunte dal Consiglio europeo, e ora da tradurre in pratica soprattutto per quel che riguarda l’aspetto fondamentale del suo finanziamento (la strada verso gli auspicati eurobond pare ancora molto lunga).
Al momento, il bazooka per complessivi 1000 miliardi messo in atto dalla Bce sotto forma di acquisto dei bond sovrani sul mercato secondario si conferma per noi come una rete di protezione assolutamente indispensabile. Appare chiaro al tempo stesso che per il nostro Paese la vera sfida è nel costo di finanziamento del debito, che ha a che fare con i rendimenti offerti e con l’andamento dello spread. Una variabile decisiva che espone la nostra economia, una volta superata l’emergenza, a rischi da non sottovalutare.
Il debito vola verso quota 155,7% del Pil
I dati contenuti nel Def in via di approvazione confermano che l’incremento del debito rispetto al 135,2% previsto nel contesto ante-pandemia, supererà quest’anno i 20 punti percentuali. In termini assoluti ci si avvicinerà ai 2.600 miliardi, con un aumento di 190 miliardi rispetto al 2019. È l’effetto devastante delle conseguenze dell’epidemia. L’indebitamento è destinato a salire in gran parte dei paesi europei. Il problema è che noi partivamo già da un livello molto alto, se paragonato ad esempio al 58% del Pil della Germania. Con una aggravante che deriva essenzialmente dall’attuale livello dello spread (attorno ai 250 punti base): se il tasso medio all’emissione nei primi due mesi dell’anno si attestava attorno allo 0,45%, l’asta a tre anni dell’8 aprile ha già evidenziato un incremento allo 0,86% (1% per i titoli con scadenza a sette anni). Il Bot a 12 mesi il cui rendimento nei primi mesi dell’anno si aggirava attorno allo 0,07%, fa ha fatto registrare un balzo di 47 punti base, mentre il Bot a tre mesi è nei dintorni dello 0,19%. In Germania si continuano a registrare tassi negativi per titoli con scadenza a sette/otto anni. Nell’asta dei Btp del 21 aprile sono stati emessi 16 miliardi con rendimenti in aumento per il Btp a cinque anni all’1,92%, mentre il Btp a trent’anni è stato collocato con un rendimento lordo del 3,12% per cento. Segnali che non vanno sottovalutati. Certamente l’ulteriore segnale giunto dalla Bce, che ha deciso di accettare come collaterale anche le obbligazioni con merito di credito inferiore alla «Tripla B», quelli che comunemente vengono definiti junk bond o titoli «spazzatura», punta a raffreddare la tensione e anche il costo di finanziamento del nostro debito ne potrà trarre giovamento. Certamente l’ombrello della Bce non potrà aprirsi all’infinito, prima o dopo (in tempi normalizzati, quindi certamente non prima di un anno) occorrerà farvi fronte con l’azione della politica di bilancio, e il debito dovrà comunque riprendere la traiettoria di lento ma graduale rientro. C’è attesa per quanto deciderà S&P a proposito del nostro rating, ma alla fine quel che conterà sarà il giudizio dei mercati sulla sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica e della variabile politica, altro elemento decisivo nelle valutazione del rischio-Paese.
L’incremento della spesa per interessi
Con l’attuale livello dello spread e tenendo conto del costo aggiuntivo delle nuove emissioni, che comunque si attesteranno a un livello decisamente più alto rispetto ai 400 miliardi fissati a inizio anno, la spesa in conto interessi è destinata a crescere dagli attuali 62 miliardi l’anno (pari al 3,4% del Pil), per attestarsi ad un livello che il governo stimato al 3,7% del Pil quest’anno e il prossimo. Secondo le attuali previsioni di tratta di un costo aggiuntivo di 4,6 miliardi. Nel 2020, la partita la si giocherà con un deficit che per effetto della profonda recessione in atto (con il Pil in caduta di almeno l’8%) volerà verso il 10%, incorporando la maggiore spesa per interessi necessaria a finanziare l’onere del servizio del debito. Se lo spread comincerà a ridursi, il costo potrà cominciare a deflettere con effetti tangibili che potranno evidenziarsi dal prossimo anno. Viceversa, la partita si complicherà e non poco. Il terreno di gioco non è solo italiano ma europeo, e ora l’attesa si sposta sulle modalità che la Commissione Ue individuerà per finanziare il Fondo per la ripresa dell’economia europea. Nella prospettiva di una maggiore e più che mai necessaria integrazione, è evidente che la risposta comune più forte e coesa dovrebbe imboccare la strada degli eurobond. Riemerge il tema della condivisione del rischio, che l’emissione di bond da parte della Commissione Ue potrebbe provare ad aggirare. La garanzia di tutti gli Stati membri potrebbe contribuire non poco a rasserenare il clima sul fronte dei mercati. Per quel che ci riguarda, le pur fondamentali decisioni assunte finora dalla Bce, dalla Bei e dalla Commissione europea (con la sospensione del Patto di stabilità, le aperture sul versante degli aiuti di Stato e dei fondi strutturali oltre al fondo Sure da 100 miliardi, ma anche l’eventuale ricorso alla nuova linea di credito del Mes finalizzata alle spese per l’emergenza) alleggeriscono di certo il peso del finanziamento del nostro debito, ma non lo rendono meno gravoso nel medio periodo in assenza di scelte coraggiose sul versante della politica economica che accompagnino il percorso di rientro.
Fondamentale ripristinare un clima di fiducia
La partita, ancora una volta, la si gioca sul fronte del ripristino della fiducia. La sostenibilità del debito pubblico è frutto di una serie di variabili che devono interagire una volta superata l’emergenza: la fiducia, in primis, da parte dei mercati, la solidità dei cosiddetti “fondamentali”, la consistenza del risparmio privato e la risposta del sistema del credito, la direzione di marcia. Per gran parte si tratta di condizioni che noi stessi dovremo essere in grado di garantire, certo all’interno di un contesto europeo che si diriga compatto verso l’uscita dalla crisi e si mostri in grado di offrire una credibile risposta per la ricostruzione. La sfida è epocale, mette in gioco la sopravvivenza stessa della casa comune europea e chiama il nostro paese a un sforzo enorme in direzione dell’auspicata modernizzazione del suo apparato pubblico e amministrativo, della riduzione del prelievo fiscale soprattutto a beneficio del lavoro, delle imprese e delle famiglie, e del recupero di entrate dal fronte della lotta all’evasione.