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Per PayPal sui pagamenti digitali l’Italia è un Paese emergente 

paypal pagamenti digitali

Quello dei pagamenti digitali sta diventando un mercato affollato, all’incrocio tra grandi compagnie tecnologiche, banche e startup. Anche PayPal, il marchio che ha fatto da ariete alla digitalizzazione finanziaria, si sta trasformando. Ha appena lanciato un servizio per trasferire piccole somme senza commissioni. Ma non chiamatela concorrenza: Federico Zambelli Hosmer, general manager di PayPal Italia, preferisce parlare di “co-competizione”:

“Capita più spesso che i concorrenti diventino partner che non il contrario”. I veri avversario sono “il contante e la bassa propensione a usare sistemi alternativi”. Soprattutto da queste parti: “L’Italia ha un’economia da G7, ma per i pagamenti digitali è ancora un Paese emergente”. E lo è anche in tema fintech.

Che mercato è l’Italia per PayPal?

“Paypal ha chiuso il 2018 con 267 milioni di conti attivi su 200 mercati, con una crescita del 17%. Cioè 40 milioni di utenti in più. Quelli attivi in Italia sono 6 milioni, in forte crescita. Se consideriamo la popolazione attiva, circa il 20% degli italiani usa PayPal. È una presenza rilevante, anche se in Italia l’85% dei pagamenti e il 64% del valore transato è ancora in contanti”.

E cosa significa?

“Che l’Italia è un’economia sviluppata, fa parte del G7, ma è un Paese ad elevata “cash intensity”. Dal punto di vista dei pagamenti digitali è quindi ancora un mercato emergente”.

Quali sono i freni?

“In Italia ci sono delle contraddizioni. In termini di utilizzo e utenza abbiamo una rete evoluta, equipaggiata per le nuove tecnologia e con una forte penetrazione di smartphone. Il contesto sta cambiando. Ma c’è ancora poca propensione a usare il conto corrente online, a scambiare il proprio Iban e, in generale, i dati bancari. E poi c’è un tema di education. Dobbiamo informare i clienti che l’utilizzo dei pagamenti digitali è sicuro e semplice”.

Da pochi giorni avete avviato “Free P2P”, una nuova modalità per trasferire denaro tra privati senza alcuna commissione sotto i 1000 euro. Perché?

“Prima di tutto c’è una motivazione a monte. La mission globale di PlayPal è democratizzare l’accesso alla gestione del denaro. Questo non significa solo avere dei servizi simili al conto corrente bancario, ma anche eliminare alcuni paletti per accelerare la digitalizzazione e limitare l’uso del contante anche tra amici e familiari”.

Il futuro di PayPal passa dalle piccole transazioni?

“L’obiettivo è dare un motivo in più per usare Paypal, in modo da farlo ogni giorno. Secondo una nostra ricerca, solo il 28,2% degli utenti italiani si avvale di un qualsiasi metodo di trasferimento di denaro (contro una media Europea del 38%). L’11,6% afferma di aver inviato cifre comprese tra i 100 e i 200 euro e il 27,8% degli intervistai ha dichiarato di avere un credito con amici e parenti sotto i 10 euro”.  

Che impatto pensa possa avere sul mercato italiano una soluzione come questa?

“In Italia c’è già un’alta penetrazione in alcuni verticali, come metro, taxi, parcheggi. E abbiamo accordi con aziende come Atm, Q8, Auchan e con il sistema PagoPA. Pensiamo che permettere lo scambio di denaro possa completare questo quadro”.

Sperando che insieme al denaro circolino anche i conti PayPal…

“Contiamo che un maggiore utilizzo possa estendere il nostro network e portare a nuovi clienti. Un utente può inviare denaro a chi ancora non ha un conto PayPal. Che riceverà un sms o un’email e, seguendo il link, potrà procedere all’apertura del conto e ricevere la cifra spedita”.

Il mercato dei pagamenti digitali, però, è sempre più affollato. Diventa più complicato definire i propri concorrenti: chi sono quelli di PayPal?

“Il mercato ha attraversato diverse fasi. In questo momento siamo in quella che definirei “co-competizione”. Capita più spesso che i concorrenti diventino partner che non il contrario. Google, ad esempio, aveva lanciato digital wallet simili a PayPal. Oggi abbiamo partnership con Google, Samsung e con operatori bancari dai quali eravamo visti come concorrenti. Oggi i nostri veri concorrenti sono il contante e la bassa propensione a usare sistemi digitali”.

Vale anche per le app di messaggistica, sempre più attente al trasferimento di piccole somme di denaro tra utenti?

“PayPal è diventa così grande perché ha beneficiato della crescita di Ebay. Poi il mercato si è evoluto, è stato necessario andare oltre e siamo usciti dal gruppo per svilupparci anche tramite altre piattaforme. Abbiamo identificato Facebook come uno dei partner principali e siamo già integrati in Messenger negli Stati Uniti. Grazie alla loro capacità di coinvolgimento, vediamo queste piattaforme come opportunità per crescere”.

Lo scorso anno PayPal ha speso 2,2 miliardi per la svedese iZettle. Continuate a guardare al panorama delle startup fintech?

“Oggi l’Europa attira grande attenzione. Il tema delle startup è importante e dinamico. PayPal è molto attivo, perché riteniamo che identificare l’innovazione sia un valore. Siamo stimolati dalle fintech che propongono novità di cui abbiamo bisogno. Cerchiamo servizi che possono dare un valore aggiunto”.

Anche in Italia?

“I Paesi più interessanti sono Gran Bretagna, Germania e Francia. Purtroppo l’Italia non recita un ruolo di primo piano perché ci sono problemi strutturali e scarsa propensione al rischio. Lo scenario sta cambiando in positivo: l’ecosistema è più dinamico e si sta strutturando, iniziamo a vedere non solo buone idee ma anche fondi più solidi, capaci di fare investimenti più sostanziosi. Vedo uno scenario positivo, ma scontiamo ancora un certo gap”.

Quindi gli occhi di PayPal, per ora, guardano altrove…

“Quando facciamo un’acquisizione valutiamo se possa arricchire il nostro prodotto. Guardiamo a tutti gli aspetti che accelerino lo sviluppo, dall’intelligenza artificiale alla gestione del rischio. Adesso in Italia non abbiamo ancora indicazioni particolari di aziende che ci possano far fare un salto di qualità. Non escludo sorprese nei prossimi anni, ma è importante che l’ecosistema locale concentri gli investimenti per dare forza alle startup italiane ed evitare che emigrino”.

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