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Perché il programma di Confindustria Energia piace al ministro Savona

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Savona e Ricci

Un pacchetto di investimenti pari a 96 miliardi di euro da oggi al 2030. Sono quelli che il settore dell’industria energetica italiano è pronta a mettere sul tavolo. Una cifra che, in epoca di quasi recessione in cui si trova l’Italia, ha fatto gongolare Paolo Savona. “Musica per le mie orecchie”, ha detto il ministro degli Affari europei commentando lo studio di Confindustria Energia, ‘Infrastrutture energetiche, ambiente e territorio’.

Al centro della discussione, una serie di interventi previsti nei programmi di sviluppo elaborati dalle associazioni che fanno parte della Federazione delle industrie del settore (Futura, Igas e Unione Petrolifera), da Snam e da Terna. Il tutto senza che lo Stato ci metta un euro, perché, spiega il rapporto, “l’onere degli investimenti sarò sostenuto dagli operatori di mercato senza comportare alcun effetto sul debito pubblico nazionale”.

L’impatto sull’economia

Gli investimenti avranno una significativa ricaduta sul tessuto produttivo nazionale e un impatto addizionale sul Pil progressivamente crescente dallo 0,3% nel 2018 allo 0,9% nel 2030, al netto della fiscalità indiretta, royalties e canoni concessori. In termini di valore aggiunto, la ricaduta complessiva sull’economia nazionale è di 305 miliardi di euro riferita all’intero ciclo di vita degli investimenti (142 miliardi nel periodo 2018-2030). Senza considerare gli effetti sull’occupazione. Secondo Confindustria Energia infatti dai progetti e dalle attività di gestione e manutenzione degli impianti ci sarà una ricaduta occupazionale di 140.000 unità lavorative annue (quasi 1,7 mln in totale) tra il 2018 e il 2030 per la realizzazione e la gestione delle infrastrutture e di 35.000 unità dopo il 2030.

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Piano Energia Confindustria

Ma in cosa consistono questi progetti? Si tratta di una serie di interventi che puntano a ‘svecchiare’ il settore energetico italiano, a intraprendere la strada della transizione energetica verso un’economia a basse emissioni, a centrare gli obiettivi climatici fissati dalla comunità internazionale per combattere il riscaldamento globale. Il tutto all’interno della cornice che il Governo si è dato con il Piano Integrato Energia e Clima.

“Il futuro ce lo dobbiamo costruire noi”

“Ritardare o ridurre gli interventi infrastrutturali presi in esame dallo studio – ha evidenziato Giuseppe Ricci, presidente di Confindustria Energia – significherebbe non solo mettere a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi ambientali del Piano Energia e Clima ma significherebbe anche accettare il concreto rischio di avere un sistema energetico, inaffidabile e soggetto a interruzioni al quale certamente il nostro Paese non è abituato, con il rischio di dover ricorrere a interventi di emergenza a costi gravosi per tutto il sistema”.

Un appello ripreso con forza da Savona: “Il futuro ce lo dobbiamo costruire noi. Una stima di crescita dello 0,6% sta a significare che non ci sono investimenti. Gli investimenti sono la variabile strategica dello sviluppo del paese”, ha evidenziato facendo riferimento alle stime al ribasso sul Pil italiano della Banca d’Italia. “Se riusciamo a mobilitare l’1% degli investimenti noi cresceremo di più dello 0,6%. Se abbiamo investimenti pari all’1% riusciremo a spostare il Pil almeno dell’1% nei prossimi 12 mesi”.

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Dal canto loro, i protagonisti della proposta chiedono solo regole chiare e stabili. Per l’amministratore delegato di Snam Marco Alverà infatti il gas oggi è il modo più economico per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Mentre per l’ad di Terna, Luigi Ferraris, “la rete elettrica è uno dei fattori abilitanti della transizione energetica”. Sul fronte politico, come è noto, la visione sulla questione non è uniforme tra Lega e M5S. “Abbiamo una visione non conforme”, ha ammesso il sottosegretario allo Sviluppo economico, Andrea Cioffi del M5S. Ma “una soluzione la troveremo”, ha assicurato il leghista Paolo Arrigoni, membro della Commissione ambiente del Senato. Forse ci penserà Paolo Savona a non farli litigare sul futuro energetico italiano, nel nome degli investimenti.

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