La nuova governance della Popolare di Bari si è rivelata incapace «di adottare con sufficiente celerità ed efficacia le misure correttive» per risanare l’istituto di credito pugliese. Questa la motivazione del commissariamento evidenziata in una lunga nota della Banca d’Italia
di Vittorio Nuti
Popolare di Bari, perché Bankitalia non ha sbagliato
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Il «peggioramento del portafoglio creditizio», con perdite consolidate per 430 milioni di euro alla chiusura dell’esercizio 2018. Le «forti conflittualità» tra l’amministratore delegato e gli organi amministrativi interni, che hanno portato allo «stallo gestionale». L’inadeguatezza della governance, nonostante il parziale ricambio del Cda e il pressing di via Nazionale per l’inserimento di «elementi dotati di autorevolezza, reputazione e adeguati requisiti di esperienza». Sono alcune delle ragioni che il 13 novembre hanno determinato il “venerdì nero” della Banca popolare di Bari, commissariata dalla Banca d’Italia con lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo l’avvio della procedura di amministrazione straordinaria in ragione delle gravi perdite patrimoniali.
Aumento capitale e cambio vertice chiesti da oltre due anni
Fin da marzo 2017, spiega un lungo «documento di approfondimento» di sette pagine nel quale ripercorre le sue iniziative di Vigilanza a partire dalle ispezioni del 2010, la Banca d’Italia aveva chiesto alla Bpb di effettuare l’aumento di capitale, mai realizzato. E sollecitato le dimissioni dell’ex presidente Marco Jacobini, che ha lasciato la poltrona solo a luglio 2019.
«Se liquidata danni rilevanti per risparmio locale»
Il documento evidenzia in particolare che un’eventuale liquidazione della Popolare di Bari comporterebbe un dissesto dalle ricadute «assai rilevanti, sia sul tessuto economico sia sul risparmio locale». La liquidazione implicherebbe innanzi tutto l’azzeramento del valore delle azioni che esacerberebbe il contenzioso legale con i soci, già elevato a motivo delle modalità di collocamento degli aumenti di capitale 2014-15 (circa 550 milioni di euro e quasi integralmente sottoscritti da clientela al dettaglio) e subirebbero la stessa sorte anche i prestiti subordinati (circa 290 milioni di euro, di cui 220 mln collocati a clientela al dettaglio).
Per Fitd rischio rimborsi Fitd per 4,5 mld di euro
Il conto per tutte le banche italiane consorziate nel Fitd, indica Banca d’Italia, sarebbe di circa 4,5 miliardi di euro (la massa dei depositi protetti fino a 100mila euro a testa per titolare di conto corrente) a fronte di una dotazione finanziaria del Fondo che a dicembre 2019 sarà pari a 1,7 miliardi. «Ciò implicherebbe l’esigenza di attivare integralmente il finanziamento per 2,75 miliardi sottoscritto nell’agosto 2019 dal Fitd con un pool di banche. Per la restituzione del finanziamento potrebbe essere necessario il ricorso a contribuzioni straordinarie a carico del sistema bancario, che determinerebbero perdite significative».
Operazione Tercas fu «salvataggio»
Il documento cita poi il coinvolgimento della Bpb nell’operazione di acquisizione del gruppo Tercas, da vedere come «un intervento di “salvataggio” volto alla salvaguardia dell’interesse dei depositanti e al rilancio commerciale del gruppo abruzzese». L’operazione fu autorizzata da via Nazionale nel luglio 2014 con il sostegno del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) per 330 milioni di euro. Tale contributo fu però congelato dall’intervento della DgComp guidata dalla commissaria Vestager e poi sbloccato dopo un anno con la nascita del Fondo volontario del Fitd. La realizzazione di quest’ultima operazione ritardò però «i tempi di integrazione tra la Popolare di Bari e Tercas, con significative conseguenze negative sulla attività di entrambi gli istituti» scrive la Banca d’Italia. Solo nel 2019 il Tribunale dell’Unione ha poi annullato la decisione dell’Antitrust Ue sugli aiuti a Banca Tercas, ma la Commissione europea ha deciso di appellare la sentenza.