di Cristiano Dell’Oste e Valentina Melis
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Non si partirà da zero. Per individuare una «retribuzione giusta» – obiettivo indicato al punto 4 del programma del Governo giallorosso e citato oggi alla Camera dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – si potrà cominciare dai due disegni di legge ora in commissione Lavoro al Senato. Due testi che hanno diversi punti di contatto, ma anche differenze non trascurabili. A partire dal fatto che il Ddl dei 5 Stelle (As 658) fissa la cifra tonda di 9 euro all’ora «al lordo degli oneri contributivi e previdenziali». Mentre il testo del Pd (As 1132) non dà importi, ma rende vincolanti i contratti collettivi siglati dalle associazioni più rappresentative (anche se inferiori a 9 euro). Affidandosi, per le sole materie scoperte, a un «salario minimo di garanzia», che sarà fissato entro 18 mesi da una commissione di tecnici incardinata presso il Cnel.
Che il tema sia centrale per le due forze politiche lo dimostra il calibro dei primi firmatari dei Ddl: per i pentastellati, il neoministro del Lavoro, Nunzia Catalfo; per il Pd, Tommaso Nannicini, ex consigliere economico dell’allora premier Matteo Renzi.
Quattro ostacoli da superare
La finalità dichiarata dei due testi è contrastare il fenomeno dei working poor, che lavorano “in regola” ma hanno redditi sotto la soglia di povertà. Secondo Eurostat (2018), in Italia l’11,7% dei dipendenti ha un salario inferiore ai minimi contrattuali, contro una media Ue del 9,6 per cento. Per centrare l’obiettivo, però, bisognerà trovare una sintesi tra i due testi e tenere conto delle criticità emerse durante le audizioni al Senato. Anche per evitare di appesantire il costo del lavoro in una fase economica critica o spingere nel sommerso chi oggi si trova in situazioni borderline.
1. Quale salario minimo. Secondo l’Istat, 2,9 milioni di lavoratori hanno una retribuzione media reale sotto i 9 euro all’ora. L’Ocse, però, rileva che un salario minimo di 9 euro lordi sarebbe il più alto tra i Paesi dell’organizzazione. L’ipotesi – già emersa a luglio nel confronto del vecchio Governo con le parti sociali – è “compensare” l’incremento del salario con un taglio del cuneo fiscale. Ma, risorse a parte, bisogna decidere se avere una paga minima unica e stabilita a tavolino dal Parlamento, oppure se affidarsi a tavoli tecnici o ai singoli contratti collettivi, che oggi spesso nei livelli inferiori hanno retribuzioni al di sotto dei 9 euro.