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Tim Cook e il logo Apple
A Cupertino è scattato il piano “S”: dire che va tutto bene è impossibile, meglio dire allora che l’iPhone non è tutto. “S” sta per servizi. Include (tra le altre cose) iCloud, Apple Music, Apple Pay ed è la voce di bilancio più stabile e che cresce di più. Da tempo Cupertino la spinge con forza, consapevole che sia l’unica carta per riequilibrare un bilancio troppo dipendente dagli iPhone (nei suoi successi ma anche nei suoi chiari di luna).
Questa volta però il ceo Tim Cook, una settimana dopo aver annunciato il sanguinoso taglio delle stime per il primo trimestre 2019, si è presentato davanti alle telecamere di Cnbc per dire che “ci saranno nuovi servizi quest’anno”. Non ha voluto dire di cosa si tratti, ma ha detto che saranno “più cose”. Quali potrebbero essere? Gli indizi per fare qualche ipotesi non mancano.
La piattaforma di streaming
Apple è già impegnata nella produzione di contenuti originali, con l’obiettivo di investire 4,2 miliardi di dollari entro il 2022 e creare una piattaforma concorrente di Netflix. Il progetto è andato avanti, fino a ora, con tempi piuttosto compassati. A quanto pare anche per volontà di Cook. Il ceo si sarebbe opposto alla produzione di programmi, serie tv e film violenti, sessualmente espliciti o politicamente schierati. Il primo veto sarebbe arrivato su Vital Signs, serie tv ispirata alla biografia del rapper Dr Dre. Motivo: una scena che ritraeva un’orgia.
La Mela sarebbe quindi orientata a creare un sorta di Netflix per famiglie, adatta a tutti. Una scelta dovuta probabilmente al timore che eventuali critiche sui contenuti possano ripercuotersi sulle vendite di iPhone. Chissà se, adesso, l’urgenza di spingere i servizi non convinca Cook a sciogliere qualche laccio. Una politica così rigida nasconde qualche rischio.
Le grandi firme che Apple ha intenzione di ingaggiare (tra sceneggiatori, registi e attori) accetteranno di sottostare al timbro di Cupertino? E gli spettatori saranno contenti, visto che molte serie di grande successo (da Narcos a Breaking Bad, da Dexter a The Walking Dead) non sono certo a misura di bambino? I segnali di accelerazione non mancano.
E neppure quelli di apertura. Samsung ha appena annunciato che i suoi televisori connessi prodotti nel 2019 avranno accesso ai contenuti televisivi di iTunes. È la seconda volta che la Mela consente a un’azienda terza di accedere al servizio. La prima, nel 2003, era stata Microsoft, con la libreria di contenuti accessibile da Windows. La mossa è un doppio indizio. Primo: un’app che raccoglie solo i contenuti visivi di iTunes potrebbe essere il preludio della piattaforma simil-Netflix. Secondo: Apple ha capito che la chiusura del proprio ecosistema (che è un punto di forza dell’iPhone) potrebbe rappresentare un vincolo per i servizi.
La Netflix dei giornali
Ma Cook ha detto che ci saranno “più cose”. L’altra potrebbe essere una Netflix dei giornali: un servizio in abbonamento che, per una decina di dollari, darebbe accesso alla lettura digitale di riviste e giornali. Sarebbe una sorta di versione premium di Apple News e,potrebbe arrivare nella primavera 2019. La base da cui partire è Texture, un’app acquisita dalla Mela lo scorso marzo.
Disponibile su iOs, integra già decine di contenuti (sopratutto settimanali e mensili). Il grande passo sarebbe arruolare i quotidiani. Eddy Cue, gran capo dei contenuti Apple, starebbe negoziando con New York Times, Wall Street Journal e Washington Post. Non si sa se la trattativa è andata a buon fine. In caso di via libera, Cupertino potrebbe garantire un’offerta che nessuno ha.
I grandi giornali avrebbero accesso a una platea nuova ed enorme, ma devono fare bene i conti. Il Washington Post offre il proprio abbonamento digitale per 10 dollari al mese; il Times per 15 e il Wsj per 37. Texture, che paga i fornitori di contenuti in base a quante volte vengono letti, potrebbe erodere parte degli abbonamenti in proprio, dai quali i quotidiani (senza intermediari) incassano di più.
Servizi per la salute
Tra gli altri servizi ipotizzabili ce ne potrebbero essere alcuni legati alla salute. Cook ha affermato che Apple “amplierà il proprio portfolio nel settore”. E si è detto certo che è qui che il gruppo “può dare il suo maggiore contributo al genere umano”. “Siamo solo all’inizio”, ha aggiunto, di un processo di “democratizzazione” che permetterà a ciascuno di “gestire la propria salute”. Le parole di Cook sono coerenti con una sempre maggiore attenzione nelle app per il benessere e la sanità, che dovrebbero sposarsi con l’Apple Watch. Se c’è una cosa che, lo scorso autunno, ha rubato la scena agli iPhone è stato proprio l’orologio della casa. Soprattuto grazie al primo elettrocardiografo integrato. Pochi gesti e il referto è pronto per essere stampato o inviato al proprio medico.
I 100 miliardi di Apple
Basteranno questi e altri servizi per ammortizzare la crisi degli iPhone? No, almeno nel breve periodo. Il 60% del fatturato della Mela arriva dai suoi smartphone, mentre i servizi valgono circa il 16%. Non hanno stagionalità e progrediscono con più costanza, ma non è sufficiente.
Cook (chiaramente) lo sa bene. Tanto che – durante l’intervista a Cnbc – ha voluto guardare il bilancio da un’altra prospettiva: “Nel nostro ultimo anno fiscale abbiamo avuto 100 miliardi di dollari di entrate non provenienti da iPhone. E in questo ultimo trimestre, se si prende tutto ciò che non è iPhone, il fatturato è cresciuto del 19%. Il 19% su un business enorme”.
È chiaro: fa parte del lavoro di Cook indicare il bicchiere mezzo pieno. Quello che il ceo non dice, si vede osservando il negativo delle sue parole. Nell’ultimo anno fiscale il fatturato è stato di 265,6 miliardi. L’iPhone, quindi, incassa ancora molto di più di tutto il resto messo assieme. Basta che lo smartphone inciampi per scatenare un putiferio. Nonostante quei 100 miliardi.
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