TAKETO OISHI / YOMIURI / THE YOMIURI SHIMBUN
Arriva Pasqua: agnelli e capretti torneranno, come da tradizione, sulle tavole degli italiani? Affidando la risposta ai dati, abbiamo visto che oggi produciamo e consumiamo meno carne ovina e caprina rispetto al passato. Se i numeri del 2018 dovessero essere confermati, quest’anno dovrebbero andare al macello 2,8 milioni tra pecore e capre, un numero che, se si eccettuano piccole fluttuazioni, rimane stabile ormai da un lustro, ma che è in netto calo rispetto a dieci-quindici anni fa.
Secondo i dati sulla macellazione forniti dall’Istat, infatti, nel giro di dieci anni la quantità si è più che dimezzata. Le capre e le pecore macellate nel 2006 erano più di 6,8 milioni, nel 2018 non sono arrivate a 3. Il crollo ha toccato il punto minimo nel 2014 con 2,6 milioni di capi e dopo un biennio di lieve ripresa intorno ai 3 milioni, la quantità è tornata, seppur leggermente, a scendere.
La produzione nazionale di queste carni ha seguito di conseguenza lo stesso andamento. Le 61 mila tonnellate del 2006 sono diventate nel 2018 35 mila, quasi la metà. Capre e pecore rappresentano una quota molto circoscritta (1,53%) all’interno del settore della macellazione di carni rosse, che in Italia si basa prevalentemente su bovini (34,86%) e soprattutto su suini (63,36%).
La spesa per l’agnello degli italiani
Anche sul versante della spesa alimentare degli italiani la carne ovina è del tutto marginale. In alcuni periodi dell’anno come questo si possono raggiungere dei picchi, ma la spesa mensile media di una famiglia è solo di 2,47 euro. Si tratta di una parte relativamente piccola della spesa totale dedicata a tutta la carne, pari a 94,17 euro secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica del 2017.
L’analisi dei consumi ci dice inoltre che sul totale degli acquisti dedicati ai beni alimentari, la carne in generale è il 22,38%, in leggera diminuzione (-2 %) rispetto al 2014 con alcune differenze a seconda delle famiglie. Gli imprenditori spendono di più dei disoccupati, così come gli anziani rispetto ai giovani e le coppie con figli rispetto a quelle senza.
Il consumo di carne di agnello e capretto in Italia
Ma quanta carne ovina e caprina si consuma in Italia? Quando si parla di consumo di carne è difficile individuare dati reali su quanta effettivamente ne “mangiamo”. L’Istat non fornisce questo dato direttamente. Per poter fare riferimento comunque a delle quantità, la Commissione Europea ha elaborato il “consumo stimato”, ottenuto sommando alla produzione la differenza tra import ed export.
Con lo stesso ragionamento, a partire dai dati dell’Istat, si riesce a ottenere una stima del consumo di carne di agnello e capretti, così come di tutte le altre tipologie, anche in Italia. Come per la produzione, i consumi sono calati bruscamente, passando dalle oltre 90mila tonnellate del 2006 alle 56mila del 2018 toccando un punto minimo nel 2014.
La produzione, d’altronde, è alla base del calcolo ma nella situazione italiana non delinea un quadro completo. Per soddisfare il nostro fabbisogno, infatti, l’Italia effettua massicce importazioni uguali quasi alla quantità della sua produzione. Di contrasto, il livello delle esportazioni resta del tutto trascurabile seppur in aumento da alcuni anni a questa parte.
Il mercato europeo
A differenza del piano nazionale, il mercato europeo di queste carni è rimasto piuttosto stabile, senza evidenziare vistosi cedimenti durante gli anni della crisi economica. Sia la produzione sia i consumi stimati non hanno subito grandi variazioni. A essere cambiato è solo il rapporto tra i due fattori: gradualmente (al ritmo di un punto percentuale all’anno) siamo riusciti ad aumentare la copertura del nostro fabbisogno con la produzione interna, oggi arrivata al 90% rispetto all’84% del 2011.
La conseguenza è che abbiamo diminuito le importazioni di carne d’agnello dall’estero, in particolare dalla Nuova Zelanda e dall’Australia, che da sole arrivano al 90% dell’import.
Per quanto riguarda la carne di capra, i principali produttori europei sono in ordine la Grecia, l’Estonia e la Romania. Per quella di pecora, invece, Estonia e Romania restano al secondo e terzo posto, ma il Regno Unito è il primo.
Proprio a causa delle condizioni meteo sfavorevoli che si sono abbattute sui Paesi chiave come Regno Unito e Romania nell’ultimo anno c’è stato un lieve calo della produzione (-1,2%). Infatti, secondo la Commissione Europea la cattiva qualità dei pascoli avrebbe influito sul peso degli animali. Si tratta comunque di una frenata momentanea, la produzione di 862 mila tonnellate dovrebbe recuperare terreno nel 2019 e secondo previsioni di lungo periodo aumentare di 47 mila tonnellate per il 2030, grazie alla spinta della domanda interna.
Il consumo in Europa
Cosa succede invece a livello europeo? Secondo l’Outlook della Commissione Europea, il consumo complessivo di carne nell’Unione andrà calando. Ma se andiamo a vedere le tipologie di carne, quella di agnello aumenterà sia nella produzione che nel consumo. Ogni europeo ne mangerà nell’arco di un decennio 160 grammi in più all’anno. Un dato che, come detto, va controcorrente rispetto alle altre tipologie di carne.
In generale, infatti, il consumo personale dovrebbe calare di circa 600 grammi passando dai 69,3 kg di oggi ai 68,7 kg del 2030. La riduzione sarà particolarmente vistosa (-1,1 kg) nei primi 15 Paesi aderenti all’Unione in contrasto con i 13 Paesi entrati successivamente che invece vedranno un aumento del consumo (+0,9 kg), pur restando al di sotto del livello degli altri. Alla base di questo calo ci sarebbe una maggiore sensibilità a tematiche ambientali, l’incremento di vegetariani e vegani, la limitata disponibilità dei pascoli e l’invecchiamento della popolazione che necessita di diete meno ricche di proteine. Tuttavia, la Commissione precisa che questa riduzione ancora non è visibile sul piano statistico.
Il consumo nel mondo
Il successo dell’agnello non è messo in discussione neanche a livello internazionale. Tra il 2016 e il 2017 la carne ovina ha subito una lieve battuta d’arresto (-3%), ma la Fao prevede per il 2027 una crescita della produzione, trainata specialmente dalle performance dei Paesi in via di sviluppo. In particolare grazie agli Stati del Medio Oriente e del Nord Africa che spingeranno l’attività pastorizia e gli allevamenti, nonostante i problemi legati alla desertificazione, all’urbanizzazione e alla disponibilità di pascoli. La stima per tutti i Paesi in via di sviluppo (+2,47%) è più alta rispetto a quelli sviluppati in cui comunque si registrerà una crescita (+0,54%).
L’aumento della produzione non riguarderà solo l’agnello. La produzione di tutti i tipi di carne lieviterà a causa dell’aumento della popolazione mondiale, un processo iniziato nella seconda metà del ‘900 e che oggi sembra inarrestabile.
Ci si aspetta un’esplosione della domanda in Africa, dove sta sorgendo una nuova classe media, così come è successo in Cina. L’aumento del consumo riguarderà non solo tutto il mondo in via di sviluppo, ma anche i Paesi già sviluppati con un ritmo, però, meno elevato. Ad esempio crescerà il consumo in Giappone che sta adottando una dieta sempre più occidentale e negli Stati Uniti dove la domanda non accenna a rallentare.
Oggi negli Stati Uniti si consumano 115.3 kg a testa in un anno. Sono superati solo dagli australiani che arrivano a 116,23 Kg. A seguire Argentina, Nuova Zelanda e molti Paesi europei. In questo contesto, se effettivamente le previsioni della Commissione troveranno riscontri numerici, l’Europa sarà l’unica a dare un segnale di cambiamento.
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