Secondo il presidente del Comitato economico e sociale europeo «ora l’opinione pubblica tedesca è mutata, la linea politica della cancelliera Merkel è radicalmente cambiata, c’è consapevolezza che occorre mutualizzare il rischio, far prevalere l’interesse generale e far pagare chi è più forte»
di Gerardo Pelosi
Secondo il presidente del Comitato economico e sociale europeo «ora l’opinione pubblica tedesca è mutata, la linea politica della cancelliera Merkel è radicalmente cambiata, c’è consapevolezza che occorre mutualizzare il rischio, far prevalere l’interesse generale e far pagare chi è più forte»
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«Sarà un negoziato duro e difficile quello tra i 27 sul bilancio europeo e sui recovery fund con insidie che si annidano nei dettagli ma tutto si può dire tranne che l’Unione europea abbia agito in ritardo all’emergenza Covid e non stia ripensando un suo nuovo ruolo costituente basato su sanità e sociale». Luca Jahier, presidente del Cese, il Comitato economico e sociale europeo, alla vigilia della presentazione, mercoledì 27 maggio, della proposta della Commissione sui recovery fund, spiega in questa intervista a “Il Sole 24 ore” qual è la posta in gioco e quali sono le dinamiche tra Paesi “frugali” e il resto d’Europa nella trattativa sui fondi per l’emergenza coronoavirus.
La Merkel non è più quella del 2010 sulla Grecia
«La Germania non è più quella del 2010 – osserva Jahier – e la Merkel non è più la cancelliera che nell’ottobre di quell’anno a Deauville, insieme al presidente francese Sarkozy, mise a punto il meccanismo di salvataggio della Grecia con le condizioni draconiane che conosciamo tutti e che mesi dopo furono approvate a Bruxelles. Ora l’opinione pubblica tedesca è mutata, la linea politica della cancelliera è radicalmente cambiata, c’è consapevolezza che occorre mutualizzare il rischio, far prevalere l’interesse generale e far pagare chi è più forte». Ovviamente, aggiunge il presidente del Cese, questo non significa che tutto è risolto perché «il negoziato sarà durissimo» anche solo per definire quanta parte sarà a dono e quanta a credito.
La risposta dell’Europa questa volta è stata rapida
Ma questa volta l’Europa c’è stata. «Il 13 marzo – ricorda Jahier – la Commissione ha preso le prime misure per l’emergenza sanitaria, il 17 marzo la Bce ha messo in atto il programma di acquisti per 750 miliardi di titoli pubblici europei di cui 220 miliardi solo per l’Italia, due settimane dopo si è dato vita al programma del fondo salva Stati Mes senza condizionalità e con un tasso dello 0,1%». E siamo ad oggi. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen presenterà nella riunione di mercoledì 27 maggio i suoi tre pilastri interconnessi per la risposta europea all’emergenza sanitaria. Il primo riguarda una proposta molto più ambiziosa sul bilancio pluriennale che dovrà prevedere anche risorse proprie. Il secondo prevede una revisione del programma di legislatura della stessa Commissione con un rafforzamento dei programmi comuni per la salute e la ricerca di nuovi vaccini. Il terzo pilastro è il recovery fund connesso strettamente al bilancio e alla possibilità di anticipare risorse spendibili solo dal gennaio 2021.
Un piano Marshall da 3200 miliardi di euro
Un pacchetto che se conterrà tutte le misure annunciate tra bilancio Mes, Bei e Bce, sospensione del Patto di stabilità e sospensione dei vincoli agli aiuti di Stato disporrà di una potenza di fuoco mai vista prima, un mega piano Marshall da 3200 miliardi di euro. E in questo quadro l’Italia come potrà giocare al meglio la sua partita? «La lettera dei nove promossa da Italia e Francia – osserva Jahier – ha cambiato la prospettiva e messo all’angolo i cosiddetti Paesi frugali del Nord che chiamerei più che altro tirchi e favorito la proposta franco-tedesca per i 500 miliardi di euro di sovvenzioni a fondo perduto».
I chiaroscuri dell’Italia nella capacità di spesa
Più in particolare, aggiunge il presidente del Cese «l’Italia è un Paese che, quando vuole, è perfettamente capace di spendere i fondi messi a sua disposizione. Penso al piano Juncker, che partito nel 2015 con un ammontare iniziale estremamente contenuto di 21 miliardi di euro (16 provenienti da un fondo di garanzia vincolato al bilancio dell’Ue e 5 da un contributo della Bei), è stato in grado di mobilizzare più di 315 miliardi di euro di investimenti in soli tre anni, generando un effetto leva di 15 volte. Il piano, adesso che è un successo, è stato ribattezzato Efsi e il secondo Paese beneficiario è l’Italia, chiamato a mobilizzare oltre 500 miliardi di euro entro la fine del 2020. A maggio 2020, l’Italia ha consolidato la seconda posizione sia in termini di finanziamenti approvati dalla Bei (11.636 milioni di euro, a fronte dei 15.720 milioni ottenuti dalla Francia (1° posizione) e dei 10.886 milioni di Euro ottenuti dalla Spagna) sia in termini di investimenti generati complessivamente (70.286 milioni di Euro per l’Italia, a fronte degli 80.692 milioni della Francia ed i 55.140 milioni della Spagna)». In altri casi, però, osserva sempre Jahier, «per i fondi strutturali e in particolare per il Fondo Regionale Europeo l’Italia, per la programmazione 2014-2020, occupa l’ultima posizione per tasso di utilizzo (32,5%) anche dopo la Romania. Occorre quindi accelerare la progettazione della capacità di spesa».